Maria Lodovica Gullino è Professore ordinario all’Università di Torino, dove insegna patologia vegetale. Ha scritto diversi bei libri, divulgativi e più tecnici e dirige il Centro di Competenza Agroinnova dell’Università di Torino, da lei fondato nel 2002. Abbiamo fatto due chiacchiere.
Come stanno in generale le nostre piante agrarie?
Così così, potremmo dire. Viste dal nostro punto di vista (di agricoltori e tecnici del settore) potremmo dire abbastanza male.
Come mai?
Gli effetti dei cambiamenti climatici si stanno facendo sentire. L’aumento della temperatura sta trasformando la Sicilia e il Sud in una specie di Nord-africa e il Piemonte in una Sicilia. Siccità e stress idrici rendono complicato coltivare mais, riso e altre specie con notevoli esigenze idriche. Per non parlare dei parassiti animali e vegetali, che si spostano con grande velocità. D’altra parte essi si sono sempre spostati, con la velocità dei mezzi di trasporto: la ruota un tempo, gli aerei oggi. La globalizzazione dei mercati, che comporta lo spostamento del materiale vegetale (semi, bulbi, piante, …) da un continente all’altro, favorisce al massimo la migrazione dei parassiti, che spesso chiamiamo “alieni”.La Xylella su olivo, la cimice asiatica e molti altri parassiti che stanno causando gravi danni alle colture agrarie sono arrivate da lontano.
Le piante, secondo te, si lamentano?
E se le piante potessero parlare… Sono certa che sarebbero più ottimiste. Le piante agrarie hanno una grande capacità di adattamento al variare delle condizioni climatiche, aiutate in questo anche dal miglioramento genetico. Certamente ora la loro vita si fa più dura. Cambiamento climatico e globalizzazione dei mercati hanno un effetto sinergico e le piante agrarie devono veramente mettercela tutta per resistere! E’ più che mai indispensabile il ruolo dei tecnici che, applicando tecnologie sempre più smart, aiutano le piante agrarie a difendersi dai parassiti e dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
Cosa ci chiederebbero le piante?
Sistemi di irrigazione smart che permettano di ridurre i volumi di acqua utilizzati, varietà resistenti alla siccità e ai parassiti, metodi diagnostici a distanza. E anche maggiori investimenti nella ricerca.
Mi racconti allora la vostra ricerca?
Ad Agroinnova, che è il Centro di Competenza per l’innovazione in campo agro-ambientale dell’Università di Torino, siamo fitopatologi, cioè medici delle piante. La patologia vegetale è una disciplina quanto mai attuale, con un forte impatto sociale.
Parliamo di questo allora…
Se interpretata in modo dinamico, come facciamo ad Agroinnova, essa sconfina con temi di grande attualità, quali la tutela dell’ambiente e la salute dei consumatori. Nel Campus di Grugliasco abbiamo strutture all’avanguardia e viviamo e lavoriamo circondati da piante un po’ macilente.
Cioè?
Spesso, infatti, le inoculiamo con i patogeni che vogliamo studiare, per poi curarle. Ci occupiamo, nell’ambito di interessanti progetti europei e nazionali, di argomenti bellissimi. O, almeno, a noi paiono tali, tanto grande è la passione per il nostro lavoro.
Va bene, cosa fate in pratica?
Anzitutto studiamo la biologia e l’epidemiologia di nuovi patogeni che intercettiamo come cani da tartufo. In realtà i nostri studi devono servire a prevenire l’arrivo di nuovi parassiti: si parla di biosicurezza. Poi ci interessiamo dell’effetto dei cambiamenti climatici sulle malattie delle piante, cercando di capire cosa succederà in futuro.
Avete macchine del tempo?
Sì, nei nostri fitotroni, vere e proprie macchine del tempo, simuliamo le condizioni in cui si troveranno le piante tra 50-100 anni, con valori di temperatura e anidride carbonica molto più elevati degli attuali. Un altro tema di ricerca è lo studio dei meccanismi di azione di sali e prodotti di origine naturale capaci di indurre nelle piante una risposta resistente ai patogeni.
Su quali colture lavorate?
Vite, frutticole, orticole, floricole. Un settore particolare di cui ci occupiamo è quello delle insalate per la quarta gamma, quelle che ci ritroviamo belle e pronte in busta, per capirci. Il nostro lavoro consiste nella messa a punto di metodi di gestione di queste coltivazioni sostenibili, in modo che prodotti così delicati arrivino sulle nostre tavole nel migliore stato.
Ecco, mi racconti un paio di vostri progetti allora? Nello specifico? Vogliamo cominciare dall’insalata?
Nel 2002 ero in auto diretta a Trento per un partecipare a un Convegno quando mi chiamò un tecnico di una nota azienda che produce insalate in busta. Era disperato: nel bergamasco interi tunnel coltivati a insalata erano distrutti da una malattia mai vista prima. Mi descrisse i sintomi: ci avrei scommesso: era arrivata in Italia (e in Europa) la tracheofusariosi della lattuga. Sulla via del ritorno feci una deviazione per raccogliere i campioni di insalata. Il bagagliaio della mia auto è molto attrezzato: stivali, sacchetti e tutti gli strumenti utili per andare in campo. E poi di corsa in laboratorio a fare gli isolamenti.
Ebbene?
Ebbene sì: era arrivato in Italia il Fusarium oxysporum f. sp. lactucae. Quel giorno iniziò la nostra avventura nel mondo delle insalate in busta. Una delizia per noi donne che andiamo di fretta! Un paradiso per il fitopatologo. In venti anni abbiamo ritrovato su queste colture più di trenta patogeni nuovi per l’Italia (e spesso per l’Europa) che per lo più arrivano nel nostro paese attraverso semi contaminati: basta un seme infetto su mille o addirittura 10.000 per distruggere una intera serra di insalata! Il nostro lavoro è consistito nell’individuare metodi di difesa soft, nello sviluppare metodi diagnostici rapidi per valutare la sanità dei semi e nel comprendere il viaggio, spesso lungo, fatto dai patogeni.
Mi spieghi i metodi di difesa soft elaborati?
La difesa delle insalate per la IV gamma si affida molto alla prevenzione, quindi valutazione della sanità dei semi, con metodi diagnostici molecolari, eventuale trattamento dei semi (con mezzi fisici, cimici o biologici), impiego di varietà resistenti o, almeno, tolleranti. Agroinnova ha lavorato intensamente con le aziende sementiere nella selezione di varietà di lattuga resistenti alle diverse razze fisiologiche dell’agente della tracheofusariosi.
Un altro progetto?
Ci siamo occupati all’inizio del 2000, di agroterrorismo, primi in Europa. Non nel senso che abbiamo fatto gli agroterroristi ma, sull’onda di quanto successo negli Stati Uniti d’America dopo l’11 settembre 2001, abbiamo valutato quali delle colture europee siano potenzialmente a maggiore rischio di attacco agroterroristico, individuando metodi di prevenzione e di reazione. Questi studi sono stati svolti nell’ambito di grossi consorzi finanziati dall’Unione Europea e dalla Nato, coordinati da Agroinnova, anche in collaborazione con partner americani, israeliani, cinesi. Qualcuno si chiederà l’utilità di questi studi, considerando alquanto improbabile un attacco agroterroristico. In realtà, questi studi ci hanno permesso di mettere a punto metodi di controllo della filiera molto utili anche all’industria agro-alimentare.
Allora ci descrivi una simulazione? E come l’avete risolta?
Abbiamo simulato, con l’aiuto dei colleghi che lavorano all’UNICRI, che è l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di terrorismo, una introduzione deliberata di un patogeno, mediante semi infetti, con danni notevoli di tipo commerciale. Con l’aiuto di uno psicologo abbiamo anche valutato la risposta dei consumatori al rischio di un’azione agroterrotistica.
Come vedi agricoltura del futuro?
Stiamo vivendo un momento di grandi e rapidi cambiamenti. Il pubblico, dopo la pandemia da Covid 19 ha ben compreso il ruolo fondamentale delle piante. Non sono così certa che si sia capita altrettanto bene l’importanza dell’agricoltura, che deve sfamare una popolazione in continua crescita. L’agricoltura del futuro dovrà sapere coniugare sostenibilità e innovazione, garantendo un giusto reddito agli agricoltori. Si dovrà investire molto in ricerca, trasferimento tecnologico e formazione.