Tu dici che l’innovazione viene direttamente dai campi dei contadini, mi fai un esempio?
Basti pensare che la passata di pomodoro è un’invenzione tutta italiana, sviluppata grazie all’impegno di tanti sconosciuti agricoltori italiani che hanno preso un frutto di origine americana piccolo, giallo e acidulo ricavandone tutta le varietà che oggi conosciamo di pomodori territoriali, soprattutto rossi, che ora troviamo (migliorate) su tutte le tavole del mondo, tra cui il tondo e il san Marzano che hanno dato origine al settore conserviero. Oppure, prendi i vini. I nostri grandi vini derivano dalla selezione (e dall’assemblaggio, vedi Chianti) dei numerosi vitigni locali sviluppati da generazioni di viticoltori. Ma non solo, settori come quello delle verdure di quarta gamma devono pagare pegno a generazioni di orticoltori che hanno selezionato e coltivato “erbette” come la rucola solo per dare un sapore originale a insalate e pietanze.
I contadini quindi sono degli inventori che non sanno di esserlo?
Certo, agricoltori che non hanno mai smesso di inventare, di adattare tecniche di allevamento e di coltivazione per sviluppare colture alternative prese da ogni angolo del mondo (la tipicità ha sempre radici global), oggi persino la frutta tropicale, cercando così di rispondere agli effetti del climate change. Capisci che minimizzare questa inventiva, vincolare tutto il settore primario al rispetto di una presunta “tradizione contadina”, è il maggiore torto che si può fare all’ agricoltura italiana. Paghiamo pegno rispetto a questi e altri pregiudizi perché la condizione di isolamento e di discriminazione non ha finora stimolato la propensione all’aggregazione e alla collaborazione con altri settori, ad esempio con il mondo della ricerca.
Ok, novità in campo?
Qualcosa sta cambiando, sì: la digitalizzazione dell’agricoltura consente di superare l’isolamento e sta portando in campo una nuova generazione di imprenditori agricoli più consapevole e più aperta. Pronta a collaborare con i maggiori centri di ricerca e persino con le multinazionali del settore, per mettere a punto tecnologie e metodi di coltivazione 4.0, magari adatti per l’agricoltura biologica. O contribuendo a sviluppare nuove varietà, magari ottenute con nuovi metodi di miglioramento genetico. Ancora: la codifica del genoma della vite, un successo tutto italiano a cui hanno contribuito anche alcune importanti cantine. La codifica del genoma di Leccino, una delle più importanti varietà di olivo, caratterizzare da tolleranza alla Xylella, è un altro recentissimo successo tutto italiano che grazie alla collaborazione dei produttori può essere il preludio per risolvere i problemi cronici che stanno pesantemente condizionando la produzione nazionale di olio extravergine.