Per cominciare, qual è la situazione in Italia dei bovini, sia da carne sia da latte
In Italia vengono allevati sei milioni e ottocentomila bovini, di cui due destinati alla produzione di latte. Questi ultimi si trovano in maggioranza in aziende dislocate nel nord del Paese.
Sono numeri in crescita?
No, è importante sottolineare che negli ultimi 50 anni il patrimonio bovino italiano è diminuito del 30%. Nel nostro Paese – e altrettanto in tutta Europa – si registra un andamento che è di segno opposto a quello mondiale. Nel mondo la popolazione bovina è in continua crescita: Asia e America insieme contano oltre un miliardo e 200 milioni di capi.
Che cosa ne deduciamo?
Ne conseguono due riflessioni, una oggettiva e una personale: la prima è che l’Italia è fortemente dipendente dall’estero per quanto riguarda il fabbisogno di carne bovina e richiede pertanto una continua importazione di animali vivi e di carni;
La seconda?
La seconda è che una massiccia riduzione degli allevamenti nel nostro Paese negli ultimi anni avrebbe dovuto comportare una riduzione perlomeno sensibile dei gas climalteranti di cui la zootecnia è considerata il principale produttore.
Ok, su questo ci torniamo un’altra volta, ti volevo chiedere qualcosa di tecnico: quali sono le fasi che un bovino da carne attraversa?
In Italia ogni bovino è un “cittadino” della popolazione zootecnica nazionale, in quanto è incluso in un’anagrafe e alla nascita viene inserito in un sistema informatico che permette l’identificazione non solo degli animali, ma anche degli operatori e delle aziende dove i bovini vengono allevati. In questo modo sono possibili quei controlli da parte dei veterinari del Servizio Sanitario Nazionale che garantiscono, tra le altre cose, la sicurezza delle carni.
Quindi se parto da una fetta di carne…
Partiamo da una fetta di roastbeef comprata in gastronomia. Ne seguiamo il percorso a ritroso fino all’animale vivo. Partiamo dunque dall’allevamento, dove il mangime somministrato viene controllato su precisi criteri di sicurezza e qualità.
Tutto nasce dalla famosa mucca pazza, no?
Sì, questa è una grande conquista derivata dalla crisi BSE: si imparò bruscamente che quello che mangiano gli animali che producono alimento, deve essere sicuro come quello che mangiamo noi. Un altro passaggio cruciale è il controllo che si fa sull’utilizzo dei farmaci in allevamento e sulla presenza di contaminanti ambientali che potrebbero residuare nella carne. Si arriva al momento della macellazione, che è controllato da un veterinario che garantisca la tutela del benessere animale e dell’igiene delle carni. Dopo la macellazione viene verificato il rispetto della catena del freddo e il corretto trasporto delle carni fino agli impianti di trasformazione che subiscono anch’essi periodiche verifiche su impianti, attrezzature e carni in ogni fase di lavorazione. Si arriva al prodotto finale e alla fase di commercializzazione. Non mancheranno neanche lì i controlli dei veterinari, che la fettina sia nel negozio di gastronomia o al supermercato.
Cosa mi dici di alcune delle comuni convinzioni sugli allevamenti, per esempio l’uso degli antibiotici oppure degli ormoni per stimolare la crescita?
È vero, antibiotici e ormoni sono sempre messi insieme, accomunati nel racconto di una zootecnia pericolosa per la salute e per l’ambiente. I due temi vanno distinti.
Distinguiamo, dai, cominciamo dagli ormoni.
Gli ormoni della crescita sono sostanze pericolose per la salute e che usate illecitamente per aumentare la resa degli animali. Nell’Unione Europea sono proibiti, negli animali le cui carni sono destinate al consumo umano, dal 1998, e in Italia addirittura a partire dagli anni ‘60. I risultati dei controlli esercitati dagli Istituti Zooprofilattici e dai Servizi Veterinari evidenziano una situazione di uso in Italia pressoché nulla. Il veto nel nostro continente è naturalmente applicato anche sulle importazioni da Paesi terzi. Questo bando europeo riveste una importanza strategica perché l’approccio all’uso di sostanze ormonali nell’allevamento è molto diverso nei Paesi asiatici e americani.
Gli antibiotici?
Il tema degli antibiotici in allevamento è stato quello di un abuso, che certamente è avvenuto e che ha avuto grandissimo peso nella diffusione del drammatico fenomeno dell’antibioticoresistenza.
Ok, e oggi?
Oggi le situazioni di abuso o di uso eccessivo si sono ridotte moltissimo, basti pensare come il miglioramento del benessere in allevamento abbia portato a una riduzione delle patologie infettive che richiedono antibiotici e che sono legate a situazioni di stress correlate all’allevamento intensivo. Nell’allevamento dei polli e dei tacchini, ad esempio, dove la problematica era particolarmente preoccupante, lo sforzo di ridurre le terapie antimicrobiche nel decennio 2011-2021 ha portato a una riduzione totale del 93% dell’utilizzo di questi farmaci. È indubbio che la consapevolezza dei consumatori e la conseguente richiesta di minor ricorso agli antibiotici ha saputo dare una spinta decisiva in questo senso.
Ma servono?
Gli antibiotici però sono indispensabili per curare gli animali! L’alternativa è non curarli se si ammalano per infezioni batteriche. Al di là delle questioni di sanità e benessere animale, bisogna pensare che le malattie animali possono trasmettersi all’uomo, rappresentando una minaccia devastante per tutti. Ma non è solo questione di salute.
Cioè?
Cioè? si ritiene che le malattie animali non trattate possano causare un calo del 20% della produzione mondiale di cibo. Spesso l’importanza economica di questi eventi è sottovalutata finché ci si imbatte in epidemie che minacciano le nostre produzioni zootecniche e la sicurezza alimentare. L’uso di antibiotici in allevamento è autorizzato solo in caso di malattia e l’Italia è stato il primo Paese a dotarsi della ricetta elettronica che ne consente un pieno tracciamento. Al termine della terapia è obbligatorio rispettare il tempo di sospensione, quello cioè di consentire all’animale di smaltirlo prima di produrre latte, o carne, o uova.
Senti, affrontiamo un altro tema: quando si parla di benessere animale, cosa si intende? Che stanno meglio rispetto al passato? Se sì, perché. Che hanno più spazi?
Il benessere degli animali nell’allevamento è un tema sempre più importante, grazie soprattutto alle sollecitazioni di molti consumatori che al momento dell’acquisto esigono un prodotto di origine animale – che sia carne, latte, uova – ottenuto senza sofferenze dell’animale. La sensibilità alla questione del benessere ha avuto un’accelerazione talmente impetuosa rispetto alla storia millenaria della zootecnia, che gli addetti ai lavori, i medici veterinari coinvolti nella gestione del benessere, stanno faticando non poco nel fornire risposte concrete alla nuova esigenza.
Quali sono i criteri principali che si stanno seguendo?
I principali criteri finora accettati sono l’assenza di fame e di sete, l’accoglienza in locali con temperatura adatta e possibilità di movimento, l’assenza di dolore derivante da pratiche di gestione scorrette, e la possibilità di esprimere un comportamento tipico della specie. Ma…
Ma?
Ma l’esigenza oggi è di andare oltre, e di disporre di indicatori misurabili di benessere, basati sull’animale e non solo sulla gestione aziendale. Questi indicatori devono essere applicabili in modo standardizzato alle diverse specie animali utilizzate oggi nella produzione alimentare, e, cosa molto importante, verificabili. Si tratta di una questione fondamentale perché il benessere animale può rappresentare un valore economico straordinario, se adeguatamente certificato. Non soltanto perché è richiesto dal mercato, ma perché se ne è compreso il vantaggio sanitario, in quanto gli animali che vengono tenuti in condizioni di benessere richiedono meno farmaci, antibiotici soprattutto, e producono alimenti di migliore qualità.
Domanda a bruciapelo, sempre rispetto al benessere, ma le galline ovaiole, oggi stanno meglio di ieri?
Per rispondere alla crescente esigenza del consumatore di acquistare uova da galline allevate senza sofferenze, la Commissione Europea ha previsto, tra altre cose, di vietare l’utilizzo delle gabbie entro il 2027. La transizione, seppur graduale, non sembra semplice. Un report della Commissione appena uscito, incentrato sulla situazione normativa del benessere animale, pur presentando molti punti di miglioramento rispetto al passato, denuncia un progresso non soddisfacente dell’eliminazione delle gabbie nell’allevamento di galline, anatre, oche, e altri animali come i conigli. Questa lentezza sembra non tener conto delle aspettative dei cittadini….
Come vedi l’allevamento del futuro?
L’allevamento del futuro sarà forgiato sul modello europeo, per il quale benessere animale e sostenibilità ambientale sono obiettivi obbligatori. Gli allevamenti nel resto del mondo, quelli asiatici soprattutto – basti pensare ai famosi Palace pigs cinesi, dove in grattacieli urbani vengono allevati 25.000 suini per piano – non possono essere paragonati ai nostri, che si stanno dando regole di sostenibilità ambientale e di benessere animale sempre più rigorose. Sono convinta che man mano che nel mondo crescerà la sensibilità verso una zootecnia più sostenibile si sarà costretti ad abbandonare un tipo di allevamento che comporta inaccettabili condizioni di crudeltà e di scarsa cura dell’impatto ambientale. Ci vorranno decenni, ma la direzione è quella, e non quella di un abbandono del consumo di proteine animali, fondamentali per una nutrizione soddisfacente. Non dimentichiamo che l’allevamento rappresenta per molte aree del sud del mondo una delle poche opportunità economiche.