Maria Caramelli, veterinaria, ha diretto per anni l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Per cominciare, qual è la situazione in Italia dei bovini, sia da carne sia da latte?
In Italia vengono allevati sei milioni e ottocentomila bovini, di cui due destinati alla produzione di latte. Questi ultimi si trovano in maggioranza in aziende dislocate nel nord del Paese. È importante sottolineare che negli ultimi 50 anni il patrimonio bovino italiano è diminuito del 30%. Nel nostro Paese – e altrettanto in tutta Europa – si registra un andamento che è di segno opposto a quello mondiale. Nel mondo la popolazione bovina è in continua crescita: Asia e America insieme contano oltre un miliardo e 200 milioni di capi. Ne consegue che l’Italia è fortemente dipendente dall’estero per quanto riguarda il fabbisogno di carne bovina e richiede pertanto una continua importazione di animali vivi e di carni.
Cosa mi dici di alcune delle comuni convinzioni sugli allevamenti, per esempio l’uso degli antibiotici oppure degli ormoni per stimolare la crescita?
È vero, antibiotici e ormoni sono sempre messi insieme, accomunati nel racconto di una zootecnia pericolosa per la salute e per l’ambiente. I due temi vanno distinti. Gli ormoni della crescita sono sostanze pericolose per la salute e sono usate illecitamente per aumentare la resa degli animali. Nell’Unione Europea dal 1998 sono proibiti per gli animali le cui carni sono destinate al consumo umano, e in Italia addirittura a partire dagli anni ‘60. I risultati dei controlli esercitati dagli Istituti Zooprofilattici e dai Servizi Veterinari evidenziano una situazione di uso in Italia pressoché nulla. Il veto nel nostro continente è naturalmente applicato anche sulle importazioni da Paesi terzi. Questo bando europeo riveste una importanza strategica perché l’approccio all’uso di sostanze ormonali nell’allevamento è molto diverso nei Paesi asiatici e americani.
Gli antibiotici?Il tema degli antibiotici in allevamento è stato quello di un abuso, che certamente è avvenuto e che ha avuto grandissimo peso nella diffusione del drammatico fenomeno dell’antibioticoresistenza. Oggi le situazioni di abuso o di uso eccessivo si sono ridotte moltissimo, basti pensare come il miglioramento del benessere in allevamento abbia portato a una riduzione delle patologie infettive che richiedono antibiotici e che sono legate a situazioni di stress correlate all’allevamento intensivo. Nell’allevamento dei polli e dei tacchini, ad esempio, dove la problematica era particolarmente preoccupante, lo sforzo di ridurre le terapie antimicrobiche nel decennio 2011-2021 ha portato a una riduzione totale del 93% dell’utilizzo di questi farmaci. È indubbio che la consapevolezza dei consumatori e la conseguente richiesta di minor ricorso agli antibiotici ha saputo dare una spinta decisiva in questo senso.