Noi italiani abbiamo pochi valori condivisi, ci mancano le basi, ognuno lotta per sé e per il suo gruppo di appartenenza: ogni gruppo o club è esclusivo e ha le sue regole di ingresso e quelle di comportamento, e non accetta altri soci se non a determinate condizioni.
In Italia mancano le basi per avviare dei ragionamenti utili alla comunità perché non tutti ci riconosciamo nei valori fondativi. Il grado di libertà che abbiamo a disposizione e di cui spesso abusiamo è ampio, e lo è perché un gruppo di persone, sotto la spinta della liberazione dal fascismo, ha redatto la Costituzione che appunto ha donato agli italiani quegli ampi gradi di libertà di cui sopra.
Eppure, molti di noi, pur godendo di quella libertà, pur occupando, grazie a quella libertà, posti di potere e decisionali, non ne riconoscono la base: un paradosso.
Difatti da moltissimi anni, da quando ne ho memoria, ogni 25 Aprile è sempre la stessa storia: si litiga. Ogni 25 aprile ho litigato. Appunto, in Italia non c’è accordo sulle basi.
Vuoi perché alcuni di noi sono giovani e non hanno per fortuna vissuto e nemmeno sanno dire che cosa è stato il Fascismo, il Nazismo, e che catastrofi ha prodotto la Seconda Guerra mondiale, vuoi perché in una parte del paese, il Sud, la lotta di liberazione partigiana non c’è stata, vuoi perché hanno sentito uno zio o un nonno nostalgico del fascismo e noi, si sa, siamo affezionati ai nonni, vuoi perché qualcuno non sopporta i comunisti e il sangue dei vinti, le foibe, vuoi questo o altro, ogni 25 Aprile è la stessa storia: invece di scambiarci un segno di pace, e complimentarci a vicenda, dicendo: in tutto questo bordello che è la vita e la lotta per la sopravvivenza qualcosa di buono abbiamo fatto, dai, ci siamo liberati da un problema serio, festeggiamo un attimo insieme perché prenderci un applauso è utile per rafforzare le basi ed evitare fascismi futuri, quindi festeggiamo, poi domani torniamo in trincea, invece di fare tutto questo ogni 25 Aprile si minano le basi.
Peccato, perché dalla riflessione seria su quello che abbiamo passato, possiamo trarre buoni insegnamenti.
A Roma, a piazza Venezia c’è il monumento al Milite ignoto. A prescindere se piaccia o meno si può imparare molto dal confronto con un altro monumento commemorativo: quello delle fosse Ardeatine.
Il monumento al milite ignoto fu progettato di un giovane aristocratico architetto marchigiano, Giuseppe Sacconi. Vinse il concorso, quello del 1884, immaginando un monumento costruito con scale e terrazze a sbalzi, dove le persone potessero incontrarsi. Sacconi mori nel 1905 e una commissione di tre architetti, Koch, Piacentini e Manfredi, prese la direzione dei lavori e alle fine, tra varie interruzioni, un uso spregiudicato del marmo bottoncino e decorazioni e statue e archi e demolizioni realizzarono l’altare della Patria: un monumento che mastodontico com’è ancora oggi esprime un senso di isolamento e di disorientamento come se mancassero le basi.
Peccato, Sacconi aveva avuto una buona idea, ma purtroppo questo immenso edificio costruito per esaltare la ritrovata unità, la libertà e in definitiva, la patria, è diventato in breve il principale set del fascismo. Le grandi cerimonie passavano lì.
Quando dopo la guerra, invece, si edificò il monumento delle fosse Ardeatine, i cinque ragazzi vincitori del concorso con il gruppo RISORGERE (Aprile, Calcaprina, Cordelli, Fiorentino e lo scultore Coccia), si posero un interrogativo che anche noi, per amore della città, del prossimo e della democrazia dovremmo porci: possiamo costruire un monumento che commemori le vittime dell’orrenda strage nazifascista e contemporaneamente usare la grammatica (sia pure architettonica) del fascismo?
I cinque di RISORGERE rifiutarono quel modello grammaticale, con metodo lo rilessero e realizzarono un monumento diverso: nella sua diversità sta la sua forza democratica, la sua tensione civile, la stessa che dovrebbe portare il 25 aprile.
Tutto questo per dire che, di declinazioni in declinazioni, sono tanti gli argomenti che affrontiamo e su cui ci scanniamo senza riconoscere le basi: uno di questi per restare in tema agricolo è la rivoluzione verde di cui oggi vorremo parlare, concentrandoci su un agronomo americano che di questa rivoluzione fu simbolo: Norman Borlaug, che per il suo impegno nella lotta contro la fame nel mondo, ottenne il riconoscimento del Premio Nobel per la pace nel 1970: unico scienziato agrario ad avere ricevuto tale Premio.