La spremuta d’arancia, altrimenti detta aranciata. Nonna sceglieva sempre le arance più succose. Mentre sulla tavola c’era ancora il disordine di fine pranzo, andava in cucina e tagliava le arance in due per prepararmi la spremuta: sentivo rotolare l’arancia sul bancone, poi il taglio netto del coltello e poi il suono dello spremiagrumi elettrico. Nonna versava il succo fino all’orlo, nel bicchiere di vetro più largo che aveva: “ecco qua, questa è fatta con le arance di giardino, bevila tutta a nonna” “veloce veloce, altrimenti si perdono tutte le vitamine che ci sono dentro”, mi ha sempre detto nonno, con tono leggermente apprensivo. Io da bambina mangiavo molto poco e l’aranciata sembrava quasi una pozione magica, riserva di energia; senza zucchero, altrimenti si guastava il sapore e di quel frutto non avrei assaporato più nulla. A casa dei nonni, nei pomeriggi spesso tiepidi e miti bere l’aranciata è sempre stato un gesto di premura e d’amore semplice e sincero, immancabile, che ad oggi mi restituisce il tempo che torna, con il sorriso dolce di ciò che è stato. Ed è ancora. Anche a 27 anni.