Prima dei numeri una domanda: a che servono i semi di girasole? Oltre alla produzione di olio per friggere, di salse e di prodotti dolciari, alla conservazione del tonno e di altri prodotti sottolio, i semi di girasole sono usati come base per molte farine destinate all’allevamento e, infine, per le cosiddette oleine, miscele utilizzate nell’industria oleochimica ed energetica, per esempio per il biodiesel.
Secondo i dati dell’OEC, fino al 2019 l’Ucraina contribuiva con il 48% alla produzione mondiale di olio di girasole, per un valore di 3,8 miliardi di dollari. Per capire in che guaio siamo, il secondo maggior produttore era la Russia, responsabile del 22% della fornitura mondiale per un valore di 1,73 miliardi di dollari ottenuti con l’esportazione. L’Argentina – giusto per avere una scala di riferimento globale- è al terzo posto con il 5,59% e un valore di soli 440 milioni. Segue quasi in volata l’Olanda, con il 5,48 e 432 milioni. L’Italia è al 19esimo posto, solo 0,34% e 22 milioni.
Ora, i dati dicono che a causa della guerra, la coltivazione di enormi distese di girasoli è stata sospesa: si è fermata la raccolta dei fiori, la lavorazione dei semi e la produzione dell’olio, oltre che la semina per la prossima stagione. Dalla fine di febbraio, diverse navi che dovevano dirigersi in Italia, pronte a partire da Odessa e Mariupol, sono rimaste ferme nei porti. Le sanzioni introdotte da molti paesi contro la Russia hanno limitato un’altra quota non trascurabile di forniture.
D’altro canto il consumo dell’olio di girasole è in crescita da qualche anno. Natasha Linhart, fondatrice e amministratrice delegata del gruppo Atlante, che esporta beni alimentari italiani nel Regno unito, negli Stati Uniti e in Asia, ha detto al Sole 24 Ore «Da quando in Italia c’è stata una forte campagna di opinione pubblica contro l’utilizzo dell’olio di palma, poi, molte aziende si sono buttate sull’olio di girasole».
Capite? Abbiamo un problema. Mi sa che dobbiamo coltivare più girasoli.