- Nel mondo
Giorgio Monbiot, editorialista del Guardian, in un suo articolo evidenzia i maggiori punti critici della gestione della risorsa idrica nel mondo:
Per tenere il passo con la domanda globale di cibo, la produzione agricola deve crescere almeno del 50% entro il 2050.
In linea di principio, se non cambia altro, ciò è fattibile, grazie soprattutto ai miglioramenti nella selezione delle colture e nelle tecniche agricole. Ma tutto il resto cambierà.
Anche se mettiamo da parte tutte le altre questioni – impatti del calore, degrado del suolo, malattie epidemiche delle piante accelerate dalla perdita di diversità genetica – ce n’è una che, senza l’aiuto di altre cause, potrebbe impedire alla popolazione mondiale di essere nutrita.
Un documento pubblicato nel 2017 stimava che per adeguare la produzione agricola alla domanda prevista, l’uso dell’acqua per l’irrigazione dovrebbe aumentare del 146% entro la metà di questo secolo. C’è un piccolo problema. L’acqua è già al limite. L’acqua necessaria per soddisfare la crescente domanda alimentare semplicemente non esiste.
I nodi critici:
Secondo Monbiot, mentre c’è un comprensibile panico per la siccità in Catalogna e Andalusia, il nodo pericoloso globale è il bacino idrografico del fiume Indo, che è condiviso da tre potenze nucleari – India, Pakistan e Cina.
Oggi, il 95% del flusso del fiume durante la stagione secca viene estratto, principalmente per l’irrigazione. Ma la domanda di acqua sia in Pakistan che in India sta crescendo rapidamente. L’offerta – temporaneamente incrementata dallo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya e dell’Hindu Kush – raggiungerà, in breve tempo, il picco per poi diminuire. La massa dei ghiacciai si ridurrà di circa il 46% entro il 2100.
È possibile superare il paradosso attraverso la regolamentazione: leggi per limitare il consumo di acqua sia totale che individuale. Ma i governi preferiscono affidarsi solo alla tecnologia. Senza misure politiche ed economiche, non funziona.
I governi di tutto il mondo stanno pianificando massicci progetti di ingegneria per convogliare l’acqua da un luogo all’altro. Ma la crisi climatica e l’aumento della domanda fanno sì che anche molte regioni donatrici rischino di rimanere a secco.
Dobbiamo soprattutto cambiare la nostra dieta. Quelli di noi che hanno scelte alimentari (in altre parole, la metà più ricca della popolazione mondiale) dovrebbero cercare di ridurre al minimo l’impronta idrica del nostro cibo, passare a una dieta priva di animali, che riduce sia la domanda totale del raccolto che, nella maggior parte dei casi, il consumo di acqua.
Questo non vuol dire dare via libera a tutti i prodotti vegetali: l’orticoltura può richiedere enormi quantità di risorse idriche. Anche all’interno di una dieta a base vegetale, dovremmo passare da alcuni cereali, verdure e frutta ad altri.
I governi e i rivenditori dovrebbero aiutarci attraverso una combinazione di regole più forti ed etichettatura informativa. Invece fanno il contrario. Il mese scorso, per volere del commissario europeo all’agricoltura, Janusz Wojciechowski, la Commissione europea ha cancellato dal suo nuovo piano sul clima l’invito a incentivare fonti proteiche “diversificate” (prive di animali).
- In Italia
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra, nel 2022, con 67 miliardi di metri cubi, la disponibilità di risorsa idrica annua ha raggiunto il minimo storico in Italia, facendo registrare –50% rispetto alla media del trentennio climatologico 1951-2020 e –52% rispetto alla media di lungo periodo 1951-2022.
Sempre l’Ispra evidenzia che la siccità del 2022 è stata la terza per gravità e persistenza dal 1952 a oggi, preceduta solo da quella del 1990 e da quella del 2002.
La quota di evapotraspirazione rispetto alla precipitazione ha raggiunto quasi il 70%, rispetto a una media di lungo periodo del 53%, e costituisce il valore massimo dal 1951 a oggi.
Secondo Legambiente, l’Italia ogni anno consuma 26 miliardi di metri cubi di acqua. Il 22% dell’acqua prelevata, tuttavia, viene disperso, rendendo il nostro Paese una delle nazioni con il più alto tasso di spreco di acqua, e quindi con una delle più alte impronte idriche d’Europa.
Nel nostro paese Il 60% della rete di distribuzione dell’acqua nazionale ha più di 30 anni, e il 25% ha più di 50 anni, una quota che in alcuni centri urbani raggiunge fino il 40%.
L’obsolescenza dell’infrastruttura idrica genera a sua volta crescenti difficoltà gestionali e un’elevata quota di perdite idriche, determinata anche da altri fattori come i regimi di pressione, le caratteristiche morfologiche del territorio, dei terreni di posa e dei materiali costituenti le tubazioni.
Fonti