Massimo Troisi (1953 – 1994) non è stato (solo) un comico. Ma un filosofo prestato alla comicità. Aveva preso dai migliori filosofi la vena ironica, gentile e dissacrante e anche un modo di ragionare, apparentemente contorno e affannoso, con tanto di balbuzie che tuttavia alla fine illuminava aspetti della nostra natura umana.
Come George Carlin (1937 – 2008), altro comico filosofo, tutt’oggi insuperato per profondità riflessiva (attraverso la comicità), Troisi discuteva spesso con i santi (e questo è tipico della cultura napoletana, io stesso sono ateo ma non tocco mai i santi) e con Dio stesso, contestandogli non solo le proibizioni religiose che colpendo il corpo mortificano l’esperienza della vita, ma anche i risultati della sua creazione.
In un celebre monologo, Troisi parla con un raggio di luce, Dio stesso, e gli rinfaccia di aver creato una natura non perfetta, l’ippopotamo ad esempio non è un bel prodotto, combinato in quella maniera, grasso, enorme e costretto a stare sempre nell’acqua. Per non parlare dell’elefante. Il cui naso è frutto di un evidente sbaglio, la proboscide altro non è che un serpente venuto male e attaccato al posto del naso.
Se fossimo meno attratti dalle etichette, che sono in ultima analisi rassicuranti e spengono le crude riflessioni, potremmo utilizzare oltre a Giacomo Leopardi anche Massimo Troisi per introdurre un corso di evoluzione Darwiniana, seminario necessario, fondamentale, non solo per eliminare i rassicuranti e ogni presenti istinti creazionisti, ma anche per capire qual è il nostro posto nel mondo.
La natura è un assemblaggio di fili, più simile a un garage disordinato, pieno di pezzi sparsi, buttati qui e là a caso che a un giardino all’italiana e alla francese con quelle loro idee di geometria e di forme che rimano l’un con l’altra. Insomma, siepi potate bene e la prospettiva sempre rispettata. La natura ò più ad un laboratorio che un giardino, un luogo dove i serpenti prendono il posto delle proboscidi (direbbe Troisi) e trovano il modo di adattarsi per un periodo di tempo per poi decadere qualora l’ambiente mutasse.
Possiamo certo discutere (ma tanto non se ne ricava niente) sulle regole di base che hanno generato la vita nell’universo, ma non certo sull’assemblaggio della vita, insomma, sulla natura che, come Troisi ricordava, non è perfetta, anzi, tutt’altro, vedi l’ippopotamo.
Quindi, se ci guardiamo dall’alto, invece dell’uomo vitruviano le nostre figure sono più somiglianti a fili, sparsi nel garage, siamo persone a forma di fili, affannati nel tentativo di collegarsi ad altri fili, per meglio funzionare, creando così nuovi spazi e nuove trappole (per l’abbondanza di fili) da cui dobbiamo uscire utilizzando altri fili.
Il caso ippopotamo o elefante è evidente, almeno dal lato della riflessione filosofica comica, ma pensate all’azoto. Elemento indispensabile per far crescere le piante, abbondantissimo nell’atmosfera (si arriva al 78%) ma scarso nei terreni.
O si aspetta che fulmini e saette rompano i legami della molecola e facciano precipitare gli ossidi, fertilizzando il terreno o si concima con quello che c’è. Un Troisi potrebbe lamentarsi con Dio e chiedergli ma perché mai non ha reso le piante capaci di sintetizzare l’azoto atmosferico, così da evitarci l’incombenza di fertilizzare con letame o di scoprire il modo di sintetizzare l’azoto per via chimica (procedura fantastica ma che ha un impatto sul clima, l’ammoniaca per essere sintetizzata necessità di fonti fossili)?
Perché solo pochi batteri hanno la capacità di sintetizzare l’azoto ma si associano solo a una ristretta famiglia di piante, le leguminose, lasciando scoperte le innumerevoli altri a noi ugualmente utili?
È chiaro che Dio non risponde (nemmeno i santi che però aiutano). Quindi vista la solitudine ci diamo da fare per risolvere i problemi che non sono per niente facili.
Oggi affrontiamo grazie agli studi di Roberto Defez proprio la questione batteri/suolo/azoto. Vista che l’ippopotamo è combinato di quella maniera, e che Dio si è sbagliato con l’elefante, voleva fare il serpente e l’ha piazzato sul naso, visto insomma questo laboratorio scombinato che è la natura, riusciremo a risolvere il problema dell’azoto, modificando i batteri e permettendo di associarsi con altre piante, diverse dalle leguminose?
Per rispondere cerchiamo di capire come funzionano i batteri azotofissatori.