Il fico d’India è una pianta EcoCrop. Il professor Enrico Baldini nel ’92 ha fatto uno studio sul bilancio energetico nei frutteti e ha scoperto che la pianta consumava pochissima energia: produce frutti in maniera sostenibile. Non solo, si possono utilizzare anche alcune parti della pianta: in Nepal, ad esempio, usano le pale come verdura, e realizzano uno stufato con le pale. In Etiopia, dove il Fico India è stato introdotto dai salesiani, ci sono 350mila persone l’anno che si muovono per mangiare il Fico d’India per poi tornarsene a casa. Senza il Fico d’India il Nord Africa sarebbe molto più povero di quello che è. Purtroppo le statistiche non contemplano il Fico d’India, perché questi paesi poveri non fanno statistica, eppure in quei luoghi il Fico d’India è la pianta più importante di tutte.
Ecco la ricetta per lo stufato: le pale si prendono quando sono piccoline con il coltello, e si tolgono tutte le spine (anzi, precisamente i clochidi) – c’è una macchinetta automatica che assomiglia a quelle che contano i soldi: qui si infilano le pale ed escono pulite- quindi si tagliano a pezzettini. Le pale tagliate a pezzettini si possono mangiare crude, ma sono meglio cucinate: sono molto buone.
Oltre a quelli alimentari, il Fico d’india prevede altri usi. Per esempio, la mucillagine è usata per la cura di ulcere e ferite – gli spagnoli chiamavano il Fico d’India la pianta delle fratture. Il frutto poi contiene un antiossidante – le betanine – in numero molto maggiore rispetto agli agrumi.
Infine, il Fico d’India è facile da coltivare: sa stare in un vaso per 25 anni, quasi senza cure, sta lì, magari non cresce, ma non muore. Infatti, quelli che non hanno il pollice verde, quando non sanno che pianta comprare dicono: vabbè, mi compro un fico d’india tanto io sto la, non faccio niente e lui se ne sta nel vaso, tranquillo.