Fotosintesi: Apro gli stomi, catturo l’anidride carbonica, la metto nel vacuolo e poi di giorno sto con gli stomi chiusi ma ci posso stare, perché sto dritto e pieno d’acqua quindi non bollo, le mie temperature non salgono. Sono bravissimo. Risparmio un mare d’acqua. Di luce uso quella che ho immagazzinato di giorno, più luce prendo di giorno più fotosintesi faccio la notte e risparmio il 75% d’acqua io ho la più alta efficienza dell’uso dell’acqua del pianeta sono molto più bravo che so della canna da zucchero? Scarsa; il mais? Il grano mi fa ridere, l’orzo non ne parliamo. Io sono il più bravo, senza ombra di dubbio. Io e l’agave siamo bravissimi; lei è più brava – e più figa – di me perché fa la tequila, io ad alcol sono messa male.
Frutti: i frutti io li posso fare quando voglio perché ho un’altra cosa che non sa fare nessuno, tranne il limone: io rifiorisco, e quindi posso fare i fiori 2-3 volte l’anno. I miei frutti migliori nel mediterraneo sono quelli di ottobre. Questi del mediterraneo pensano che a me piaccia il caldo, io odio il caldo. Io so stare senza acqua, perché nel mio paese d’inverno fa freddo e non c’è acqua, d’estate è caldo e c’è acqua, l’opposto del mediterraneo. Io non sono una pianta mediterranea, a me non piace proprio stare nel mediterraneo d’estate, io so fare i frutti in un periodo in cui non li farei. E però questi qui che non sono scemi come si penserebbe, questi siciliani, per sbaglio hanno scoperto questa cosa per cui io faccio i frutti quando mi piace e li faccio a ottobre, quando la temperatura è più fresca e io faccio i frutti felice. Ad agosto non li faccio felici, e infatti i miei frutti ad agosto non sono buonissimi – cioè sono buoni nel senso normale del termine ma dal punto di vista delle qualità commerciali di oggi di peso dimensione ecc. sono più bravo a ottobre.
Frutti senza spine? Qua bisogna essere chiari. Le spine sono quelle cose lunghe, lisce e bianche e io non ce le ho. Io sono inerme, io ho i glochidi che sono un’altra cosa, sono anche peggio delle spine perché s’attaccano. Le spine ti pungono e se ne vanno i glochidi invece ti toccano e rimangono inesorabilmente lì. Sai questi professori che venivano da me? Stavano sempre un po’ lontano dal campo perché lo sapevano: che anche se solo ti avvicinavi alle piante i glochidi ti saltavano addosso senza bisogno di
toccarla. Io mi difendo, che devo fare. Però si possono togliere. Gli umani hanno inventato un sistema per toglierli
Frutti senza semi? A me non frega niente della dimensione del frutto, del colore, se è acido, se è amaro, a me interessa che voi lo mangiate. Avete inventato questa cosa fastidiosa del bagno? Che era meglio gli indigeni che andavano in un campo e mi disseminavano. Voi avete inventato questa rottura di scatole delle fogne per cui finisco in acqua di mare – cosa che non mi piace proprio – però c’è ancora qualcuno che mi mangia tipo gli uccellini e mi mettono da qualche parte e io questo mestiere faccio, faccio tanti semi, perché siccome vivo in zone aride ho bisogno di fare molti figli. Io ho una grande mortalità infantile e quindi devo fare tanti figli e ne faccio tipo 200 a frutto e a voi non piace. Che ci posso fa? Vi mangerete mia cugina pitaia che è bella non ha spine non ha semi ma non sa di niente, io sono molto ma molto più buono.
Come ti trovi Italia? Sono siculo. Gli altri mi mangiucchiano ma quelli bravi sono quelli siculi. E sono dell’interno della Sicilia, perché a me non piace il mare. Molti pensano che sia così ma no, io sono un signore, a me piace stare sulle alte colline, sull’Etna, mi piace Santa margherita Belice – sai quella del principe di Lampedusa costa, ci sto, ci vivo, mi piacciono le colline interne, mi piace il grano sto con loro con l’olivo, mi piace meno la spiaggia. Ci sto, ci vivo, mi naturalizzo, mi piace monte Pellegrino a Palermo sto là tutto felice mi vogliono eradicare e io invece ci torno, però quando mi coltivano sto nelle zone centrali, lì sono bravi devo dire.
(Tratto dall’intervista impossibile al Fico d’India, realizzata al festival ColtivaTo, da Antonio Pascale e Paolo Inglese, che si è prestato a interpretare il Fico d’India, anche in ragione della sua esperienza e i suoi studi sulla pianta).