Il venerdì sera andavo a casa dei miei nonni alle Case nuove, i palazzi quadrati che si trovano accanto all’ospedale Loreto Mare e che mia nonna chiamava Le case dell’Istituto. Prendevamo il 254 o il 255 sul Corso San Giovanni a Teduccio e mi sedevo al posto del bigliettaio perché da quando all’ATAN avevano messo le obliteratrici li avevano spostati nei depositi a fare manutenzione. Tanto su quella linea il biglietto non lo faceva nessuno. “Giannì nun me fa mettere scuorn, statte quieto”, diceva mia nonna. L’odore cominciavo a sentirlo quando uscivamo dal filobus, non appena passavamo sotto al palazzo di Via Marina che sembrava una galleria. “Sei fatto a viecchio perciò ti piacciono”, diceva lei, “agli altri bambini disturbano lo stomaco.” Avevo il compito di tagliare le zucchine a rondelle. “Non lo dire a tua mamma che te le faccio tagliare”, “non lo dico, ma tu dimmi perché hanno quel sapore strano”, lei ci pensa, è una domanda difficile, le cose buone sono misteriose, possiamo arrivare a spiegarle fino a un certo punto. Poi risponde: “l’aglio, l’aceto, la menta, se ci pensi sembra non che non possono stare assieme.” È così. Si dice contrasto, lei non conosce la parola ma sa usarla. Frigge le rondelle. Mia nonna frigge tutto. Poi le tampona con il tovagliolo di carta e le immerge nel vassoio pieno di olio. “Mo si devono imporpare bene bene. Si possono mangiare domani”, coprivamo il vassoio con lo straccio e aprivamo il lettino nel soggiorno. La notte era un altro ingrediente. “Chi è Scapece, quello che le ha inventate?”, “nossignore”, “e perché sono così buone?”, “te l’ho detto prima”, poi mi dà il bacio sulla fronte: “domani ce le mangiamo. Lo so che è la cosa che ti piace di più. E il fatto che sei fatto a viecchio forse è una cosa buona.”.