La piramide di bignè se ne stava adagiata nella pratica confezione d’asporto, che anticipava i tempi dello street food, di colore giallo canarino con i loghi della più nota, all’epoca, pasticceria di via Toledo. Sormontata da soffici nuvole di panna candida che sprigionavano un gradevole profumo di latte fresco. Del cioccolato s’intuiva la dolcezza solo a guardarlo.
La passeggiata era un pretesto. Erano i giorni più belli di un’infanzia non sempre spensierata.
I miei profitteroles l’occasione di una piccola trasgressione con la complicità di mia madre che mi consentiva di consumarli per strada prima della cena.
Mangiare per me era un incubo. Non avevo mai fame e non c’era leccornia che potesse smuovermi dalla mia naturale avversione per l’ora dei pasti. Potevo restare per qualche giorno digiuna senza sentire il bisogno di nutrirmi. In casa erano tutti molto preoccupati e quella tensione accresceva il mio disagio nei confronti del cibo. Erano stati interpellati numerosi pediatri, la maggioranza dei quali non condivideva le apprensioni familiari. Uno di loro, quasi sapesse dei miei profitteroles, aveva consigliato di lasciarmi digiuna senza nessuna concessione. Prima o poi la fame sarebbe arrivata. L’aveva presa proprio male quell’antipatico dottore immaginandomi artefice di chissà quale battaglia. Non conosceva il mio carattere pacifico e l’indulgenza di mia madre. Dal canto suo lei continuò a pensare che dovessi nutrirmi di ciò che più mi piacesse per stimolare il mio appetito così deficiente.
Le nostre fughe a via Toledo sono continuate per anni anche quando crescendo ho iniziato a mangiare spontaneamente e con gusto. Almeno una volta alla settimana correvamo complici verso la pasticceria, determinate a custodire il nostro segreto. I miei bignè con la panna e il cioccolato mangiati prima della cena. Un tuffo nel sapore della mia infanzia per sempre.