Ce l’avete sicuramente un cugino, no? Scommetto che vi ha giurato di aver visto uno sceicco o un russo (dipende) aprire una bottiglia di vino pregiato, roba costosissima da migliaia e migliaia di euro, ovviamente dell’annata giusta, e tracannarla senza capirci niente.
Ce l’avete un altro cugino che vi ha garantito che un suo cugino ha trovato in un’anfora, perfettamente sigillata, custodita da secoli sotto al mare, che conteneva del vino antichissimo, chissà magari fenicio, etrusco o greco, e l’ha bevuto, e sapeva di miele?
O un cugino grecista che cita “il mar color del vino”, modo di dire ricorrente, e ancora un po’ misterioso, presente nelle opere di Omero (o chi per lui) usato per descrivere il mare. O ancora, un cugino che fa il sommelier e vi dice tutta la verità sui vini e magari è anche enologo, così vi ha fatto entrare una volta in una cantina spettacolare elencandovi, mentre camminavate a passo felpato come in chiesa, i vari passaggi della fermentazione malolattica, ma voi guardavate a bocca aperta alcune botti: non pensavate potessero essere così belle, maestose e dal design raffinato.
C’è poi quell’altro cugino che beve solo vini naturali o quelli biodinamici, poi l’allergico ai solfiti e l’agronomo, che vi spiega le principali forme di allevamento della vite, e magari è fissato con quelle vecchie, il Bellussi, per esempio, perché permettevano la crescita di viti fino a 4 metri di altezza, una di fronte all’altra, con i tralci che si toccavano e formavano dei pergolati ricchi di foglie che vabbè, poi, erano difficili da potare, per non parlare della raccolta. Ma vuoi mettere lo spettacolo? O magari quel cugino vi illustra, disegnando su un foglio, antiche e commoventi consociazioni come ad esempio la vite maritata all’albero: arbusto gallico, arbusto italico, modello trevigiano, modello di Salò, Testucchio toscano.
Un altro vostro lontano cugino è così appassionato di vite e vino che è capace di ricordare tutte le antiche rotte di navigazione che il vino ha tracciato. I fenici: dalle coste dell’Asia minore fino a quelle dell’Africa settentrionale e da qui, verso i porti del Mediterraneo occidentali. O le rotte dei commercianti focesi, provenienti da una piccola città vicino a Troia, che lambirono le coste italiane, sia quelle adriatiche sia tirreniche, poi su fino al Rodano e poi giù verso la Spagna.Un vostro cugino vi avrà poi parlato dei simposi e insomma del culto di Dioniso che attraverso la mediazione degli Etruschi fu più tardi ereditato dai romani, e allora Dioniso divenne Bacco: comunque questi simposianti bevevano, parlavano d’amore e, ci ricorda Platone, Socrate reggeva benissimo l’alcol, non collassava come gli altri e ragionava niente male.Ce l’avete uno cugino così, lo so. E’ un cugino ancestrale, perché certo l’uomo ha sempre sfruttato lieviti e funghi che trasformano l’amido in zuccheri, magari nei cereali o nelle mele, ma non appena ha scoperto la vite, beh, allora ha mollato tutto e si è dedicato anima e corpo a questa pianta.
Questo cugino ci ricorda, dunque, il rapporto atavico e difficilissimo che abbiamo con la vite. Sono infatti passati secoli prima di spremere il succo dalle bacche. Solo 5mila anni prima di Cristo nel vicino Oriente e 11mila anni avanti Cristo, in Grecia, appaiono forme paleobotaniche dei vinaccioli che fanno intravedere viti con caratteristiche moderne. E comunque, quasi certamente, il primo vino fu il risultato di una mescolanza di diversi succhi di frutta e altri liquidi, quello di betulla, latte, miele diluito in acqua e malto
.E’ anche per celebrare le suddette difficoltà che la pianta raccoglie molti simboli. Appunto a proposito di Dioniso, basta considerare la sua doppia natura: luce e oscurità, calore e freddezza, ebbrezza di vita e soffio di morte.
Ma sopra ogni simbolo vi è la metamorfosi. Potete farne esperienza osservando un vigneto in inverno. Che dire? Tronchi spogli, un fusto segnato da cicatrici, desquamato, e poi, all’improvviso spuntano queste foglie verdi, palmato-nervate, differenti per forma, colore e tomentosità. Dopo le foglie ecco le bacche e poi il vino: una grandiosa metamorfosi.
Ci ragioniamo un po’?