Ci sono piante vecchie e ci sono quelle nuove. Tuttavia, se ti concentri sulla questione anagrafica delle piante, capisci subito che quelle piante che oggi consideriamo vecchie una volta sono state innovative (e coltivate proprio per questo), e quelle che oggi sembrano nuove lo saranno ancora solo per un breve arco temporale. Tra una settimana, vuoi un mutamento di clima, vuoi un cambiamento di gusto del consumatore, saranno anche loro vecchie.
Purtroppo, un po’ perché non viviamo così a lungo (e di fronte alle ere geologiche andiamo in confusione), un po’ perché nutriamo ancora prepotenti istinti creazionisti, per noi le piante finiscono per essere tutte “antiche”, tradizionali e dunque intoccabili: ci chiediamo: chi siamo noi per opporci a una tradizione millenaria?
Questa convinzione, credenza, si porta dietro alcune spiacevoli conseguenze, con serie ricadute politiche e sociali. Faccio per dire: anni fa, nel bel mezzo del surreale dibattito sugli OGM, (che ricordiamo, ancora oggi, sono uno strumento utilissimo per risparmiare imput chimici) Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, esponente di punta del movimento bio e opinion leader amato da tutti (anche perché la gastronomia è un must nel dibattito pubblico), produsse e pubblicò una specie di tavole della Legge di moseiana memoria: 10 motivi per dire no agli OGM.
Ora: nel suo documento, non c’era traccia di un comandamento preciso, ma quello che colpì molto l’Accademia, gli studiosi e gli scienziati (che però non produssero documenti di pari impatto emotivo) era il punto otto che recitava: “le piante mal sopportano le modifiche genetiche”.
Insomma, se questo punto fosse vero o fosse dimostrato dovremmo riscrivere la storia del mondo: è un po’ come dire: la Terra è piatta. Ma come si fa a dire che le piante mal sopportano le modifiche genetiche? Le mutazioni sono il pilastro fondativo della vita sulla Terra e mica riguardano solo piante. Una persona che pensa che le piante mal sopportano le modifiche è una persona che si fa suggestionare da quella belle immagini del catechismo, il giardino dell’Eden tutto armonico e perfetto: un creazionista.
Comunque, in questi numero useremo un estratto del bel libro di Elio Cadelo: Piante americane (e non solo) nella Roma imperiale. I commerci transoceanici dei Romani (Edizioni All Around).
L’autore, ricostruendo numerose rotte transoceaniche non solo dei Romani ma anche della gran parte delle antiche civiltà, analizzando con vari strumenti (archeologici, genetici, antropologici, letterari) il frutto di quegli scambi, dimostra che la biodiversità di cui tanto si ciancia e della quale gode ancor oggi l’Italia fu “costruita” importando “piante aliene” da ogni dove, soprattutto dal Medio e dall’Estremo Oriente, e dal lavoro degli agricoltori romani che le acclimatarono, le ibridarono e le coltivarono, creando per la prima volta una varietà di prodotti agricoli unica nella storia(perché le piante sì, ben sopportano le modifiche genetiche). E, tra le centinaia di piante giunte in Italia durante la lunga storia di Roma, alcune, sono autoctone delle Americhe.
Un libro bellissimo e utilissimo che ci fa capire che oggi (più che allora) è necessario costruire piante adatte non solo alle rotte dei nostri tempi ma anche ai problemi che dobbiamo affrontare: abbiamo un sacco di strumenti a disposizione, se ci togliamo questa idea creazionista dalla testa, possiamo poi usarli e valutare i risultati con sana episteme.