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Home Alla ricerca della madeleine perduta

Ricordi il cibo dell’infanzia? Bruno Mezzetti (professore, università di Ancona)

da Redazione Web
15/07/2021
in Alla ricerca della madeleine perduta
Tazza di latte caldo

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Alessandro Cerofolin, dirigente della Direzione generale delle foreste.

Isabella Pierantoni, economista e lettrice a tempo pieno.

Da bambino, la colazione era per me il primo contatto con la realtà del giorno dopo la resa notturna. Vivevo in piena campagna, in una tradizionale casa rurale costruita sui terreni bonificati e convertiti all’agricoltura nella Bassa Bolognese. Alle sette ci si ritrovava nella grande cucina, prima di partire per il lavoro nei campi o, per me, da piccolo, prima della scuola. Dalla stalla arrivava il contenitore di alluminio con il latte appena munto che mia zia, come ogni brava zdora, travasava nel classico brocco per bollirlo. Pochi minuti e il latte saliva di getto fino all’orlo del pentolino, formando una crema densa che veniva rimossa con un cucchiaio. Con gesti metodici, la zia prendeva la mia scodella bianca e ci versava il latte bollente. Poi, senza parole, solo con lo sguardo, mi avvisava di andarci piano per non scottarmi. La pagnotta era pronta sul tavolo, tagliata. Da una grossa fetta strappavo i tocchi che sparivano nel latte fintanto che restava una zuppa tiepida e profumata. A volte aggiungevo un cucchiaio di zucchero, sopra, anche se latte fresco era già dolce di suo. In inverno, mio nonno accendeva il camino molto presto. Le stanze erano fredde e quando scendevo dal letto, correvo in fretta verso la cucina già riscaldata dal fuoco. C’erano sempre il latte il pane ma, in più, sulla griglia, cuocevano grosse fette di pancetta. Erano spesse, niente a che vedere con il bacon degli inglesi, non si arricciavano, restavano piatte e morbide. Cuocendo, lasciavano colare un grasso denso, che mio nonno raccoglieva con una fetta di pane insaporendone la mollica. Da piccolo, quel pane con la pancetta, riservato agli adulti, era solo un sogno e per realizzarlo dovetti aspettare con pazienza per alcuni anni. Prima mi fu concesso di toccare il pane nel grasso e già quella fu una conquista. Poi, finalmente, a sei anni, scolaro, ho addentato il mio primo panino con il grasso ripieno, che aveva il potere di non farti sentire né fame né freddo per alcune ore, tant’è che, anche nei mesi della galaverna, me ne andavo a scuola in bicicletta, pedalando per alcuni chilometri coi braghini corti. Ricordo mio nonno che accompagnava il panino con un bicchiere di vino, abitudine che, credo, di avere imitato anch’io qualche anno dopo.

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