Patrick E. McGovern è direttore scientifico del progetto di archeologia biomolecolare per la cucina, le bevande fermentate e la salute del Museo dell’università della Pennsylvania a Philadelphia, dove è anche professore di antropologia. Negli ultimi vent’anni, è stato pioniere dell’archeologia biomolecolare, che sta aprendo capitoli completamente nuovi riguardanti i nostri antenati umani, la pratica medica, le cucine e le bevande dell’antichità. Nel suo libro diecimila anni di birra (Espress), ci racconta l’epopea dell’alcool, come e perché gli esseri umani hanno da sempre inventato intrugli inebrianti sperimentando frutta, miele, cereali, resine degli alberi, prodotti botanici e altro ancora.
Tre domande tratte dal suo libro “Diecimila anni di birra”, in libreria dal 23 febbraio, (Espress). Ringraziamo l’editore per l’anticipazione.
L’origine dell’alcool?
La storia delle bevande alcoliche sulla Terra inizia nello spazio profondo, miliardi di anni fa, con una molecola sorprendente: l’alcol o etanolo. Questo semplice composto, formato da due atomi di carbonio, sei di idrogeno e uno di ossigeno, è parte integrante dell’universo fin dove lo sguardo riesce a spaziare nel cosmo. Se aveste un telescopio abbastanza potente, potreste scorgere una nube gassosa, denominata Sagittarius B2N, vicino al centro della nostra galassia, la Via Lattea, in una regione di formazione stellare più calda. Si trova a circa ventiseimila anni luce o duecentoquaranta quadrilioni di chilometri dalla Terra. Contiene letteralmente miliardi e miliardi di litri d’alcol: metanolo, etanolo e alcol vinilici altamente reattivi. Sagittarius B2N è soltanto una delle gigantesche nubi di formazione stellare al centro della Via Lattea e, come amava dire l’astrofisico Carl Sagan, la nostra galassia è soltanto una tra cento miliardi di galassie, ciascuna con cento miliardi di stelle. Ovviamente stiamo parlando di moltissimo alcol. I baristi tra noi saranno inoltre felici di sapere che queste nubi contengono anche formiato di etile, che odora di rum e conferisce ai lamponi il loro sapore. A proposito di cocktail che aspettano soltanto d’essere estratti dallo spazio profondo!
È possibile che alcune di queste molecole di alcol abbiano scroccato un passaggio a una cometa e contribuito a dare origine alla vita sulla Terra, come sostiene la teoria della panspermia? Per quanto stuzzicanti, le prove chimiche dell’esordio della vita sul nostro pianeta trovate sulle comete e sulle meteore, incluso l’eventuale ruolo dell’alcol, sono ben lontane dall’avvalorare la teoria della panspermia. Stiamo parlando di un evento che dovrebbe essere avvenuto circa quattro miliardi e mezzo di anni fa. Ricostruire un’antica bevanda fermentata di soli diciottomila anni fa è già abbastanza difficile. Tuttavia, la mancanza di prove non ha mai impedito a noi esseri umani di inventare storie per spiegare le nostre origini e il nostro scopo sulla Terra.
E l’alcool visto da più vicino?
La fermentazione (glicolisi) è alla lettera il fondamento della vita sul nostro pianeta. Si ritiene che questo processo biologico abbia fornito energia alla prima cellula. Ne dà ancora oggi a ciascuna dei trilioni di cellule del nostro corpo e a quelle di ogni creatura vivente sul pianeta. Sebbene ora la vita sia molto più complessa rispetto all’inizio, il processo essenziale è rimasto lo stesso: lo zucchero viene assorbito («mangiato») dalla cellula e trasformato in composti ricchi di energia, con alcol e anidride carbonica come prodotti di scarto. È dunque probabile che un tipo di «bevanda» alcolica fosse disponibile fin dai tempi antichi. Anche se suoi bevitori dovevano ancora arrivare.
Oggi invece, a cosa associamo la fermentazione?
Oggi la fermentazione è associata a due specie di lieviti unicellulari in particolare, i Saccharomyces cerevisiae e i Saccharomyces bayanus. Sono membri d’una famiglia di funghi che comprende un folto gruppo di ceppi selvatici e addomesticati, come i lieviti di vino e di birra. Pur essendo formato da un’unica cellula, il lievito condivide quasi tutti gli organuli biologici e le funzioni chimiche delle cellule del nostro corpo e di quelle di altri organismi pluricellulari. Questi lieviti prosperano in ambienti a basso contenuto di ossigeno, ma non in un’atmosfera priva di ossigeno come quella che si crede esistesse sulla Terra agli esordi della vita. I lieviti consumano gli zuccheri – siano essi il glucosio della frutta, il fruttosio del miele o il lattosio del latte – e secernono etanolo e anidride carbonica come prodotti finali. È vero, quando consumiamo una bevanda alcolica, forse cerchiamo l’alcol come sostanza stupefacente, ma per il lievito l’etanolo è soltanto un rifiuto da smaltire, come lo era per le primissime cellule viventi ipotizzate. In un senso più importante, tuttavia, l’alcol fornisce i mezzi grazie ai quali i lieviti possono sopravvivere nel mondo estremamente competitivo dei microrganismi. La maggior parte dei microbi tollera livelli di alcol fino al 5 per cento; al di sopra di questa quantità, muore. I lieviti prosperano invece in ambienti con livelli di alcol molto più alti, di solito fino a un massimo del 12-15 per cento, ma in alcuni casi anche sopra il 20 per cento. Questa differenza nella tolleranza all’alcol creò un momento propizio per i lieviti. Se fossero riusciti a produrre abbastanza etanolo, avrebbero sbaragliato la concorrenza. Pare che i primissimi esemplari si siano adattati a fare proprio questo. Il loro gene dell’alcol deidrogenasi (Adh), che produce un enzima omonimo (ADH), fece sì che l’alcol si accumulasse nel loro ambiente. Un approccio ancora più efficace e sfumato si delineò tuttavia durante il cretaceo, tra i centoquarantacinque e i centosessantacinque milioni di anni fa, quando il genoma dei Saccharomyces cerevisiae raddoppiò, rendendo possibile l’attivazione e la disattivazione selettive della quantità di etanoloprodotta. Ora aveva due versioni del gene e dell’enzima Adh. L’ADH1 era in grado di incrementare l’alcol fin sopra il 5 per cento e di spazzare via gli altri microbi. Una volta fatto questo, l’ADH2 poteva entrare in azione e riconvertire l’alcol in eccesso in acetaldeide, generando sostanzialmente altra energia. L’attesa della gratificazione ritardata era giustificata dalla distruzione dei microbi concorrenti.