In questi anni, la ricerca in agricoltura ha costruito una nuova cassetta degli attrezzi, strumenti per la sostenibilità ambientale. Il più giovane di tutti, il nuovo acquisto, è uno strumento che si rubrica sotto la voce biotecnologie: TEA, tecniche di evoluzione assistita, Crispr-Cas9, per usare il suo nome tecnico. Ma a prescindere dai complicati acronimi, per incentivare la curiosità, diciamo subito che grazie a questa tecnica potremo non solo abbassare ancora di più le dosi di agrofarmaci, ma anche migliorare alcuni prodotti, dal punto di vista quantitativo e qualitativo.
Per affrontare questo acronimo, basta fornire pochi elementi. Eccoli: DNA, RNA messaggero e Ribosomi. Allora, il DNA, cioè acido desossiribonucleico è simile a una scala, di quelle che si comprano nelle ferramenta. È composto da una struttura esterna (cioè, molecole di uno particolare zucchero tenute insieme da molecole di fosfato: zucchero, fosfato, zucchero, fosfato) e dai pioli, la parte più interessante del DNA.
I pioli, infatti, sono composti da quattro coppie di basi che si uniscono, l’adenina sempre con la timina, la guanina sempre con la citosina. Queste associazioni formano un codice. Sappiamo e possiamo leggerlo.
Poi, per capire come funziona, rubo una metafora ad Alessandro Tavecchio, bravo divulgatore. Il DNA è lo spartito musicale. Ma lo spartito non è musica, per tradurlo in musica, cioè il prodotto finale, le proteine ci vogliono strumenti e musicisti. Il musicista, cioè quello che trasmette l’informazione scritta sullo spartito allo strumento è l’RNA messaggero. Lo strumento che trasforma, grazie al musicista, i segni in musica, è il ribosoma: è lì che avviene la sintesi proteica, il luogo dove l’informazione viene letta e trasformata in proteina.
Studiando e sequenziando i genomi, a partire dagli anni ’80, si è visto che il DNA di alcuni batteri presentava delle ripetizioni, cioè, a spaziature regolari, erano raggruppate delle sequenze di basi, brevi e palindromiche da qui CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats).
A che servono queste sequenze palindromiche raggruppate con regolarità? Dopo anni di ricerca, si è capito che quelle sequenze erano la memoria immunitaria dei batteri.
I batteri sono organismi unicellulari, dunque (a differenza di noi umani) non hanno linfociti. E allora, se sono attaccati da alcuni virus (anche i batteri si ammalano), come lo riconoscono? Semplicemente portando dentro il proprio DNA pezzi di DNA virale, che appunto viene raggruppato in brevi sequenze di basi, sistemate in spaziature regolari.
E come se, perdonatemi l’esempio, io che sono di fede calcistica napoletana, avessi introiettato nel mio sistema di difesa contro la Juve di qualche anno fa la frase CR7 che (nel mio genoma) si ripete a sequenze regolari. Così quando la Juve entra in campo, posso prima riconoscere la maglia numero 7 di Cristiano Ronaldo, poi eliminarlo e sperare così di far collassare l’intera squadra.
Allo stesso modo, quando un virus attacca un batterio, il batterio stesso fa partire il suo sistema di difesa, appunto, un pezzo di RNA con la sequenza Crispr. Questo RNA Crispr legge il DNA del virus, se lo riconosce (se le basi sono le stesse, insomma se vede la maglia), grazie a una proteina, la Cas 9, taglia e annulla, cioè, degrada il genoma virale e annulla così il pericolo.
Questo meccanismo funziona anche in laboratorio, dunque si aprono delle opportunità per un editing genomico preciso e mirato: possiamo tagliare pezzi di genomi che non ci piacciono o sostituirli con altri.
Come? Se conosciamo il genoma di una pianta, e sappiamo che quel gene ha una funzione specifica, possiamo costruire (o disegnare) un sistema Crispr-Cas9, grazie al quale modificare, con grandissima precisione, quel gene. Sempre per usare la scontata metafora calcistica, costruisco un sistema Crispr-Cas 9 che riconosce i giocatori in campo, così posso eliminarli o sostituirli: taglio uno e/o inserisco un altro.
Esempio. Le nostre amate viti. Se le modifichiamo con le tradizionali tecniche, se volessimo, che so, introdurre una resistenza a un patogeno incrociando le nostre varietà con altre, tipo le americane e le asiatiche, perderemo la particolarità e la qualità della nostra varietà.
Questo è il motivo per cui sulla vite il miglioramento genetico è poco usato ed è anche il motivo per cui, per produrre un buon vino, non ci resta che usare fungicidi. Sappiamo anche che nella sola Unione Europea si usano circa 60 mila tonnellate di agrofarmaci, e più precisamene il 65% di fungicidi. Possiamo ridurne l’uso? Sì, col Crispr-Cas9.
Vediamo come. I funghi per entrare cercano la serratura adatta. La serratura è regolata da geni. Noi conosciamo quel gene, sappiamo cioè la sequenza di basi che lo compongono.
Bene, con il sistema Crispr-Cas9, possiamo fare in modo che un RNA opportunamente preparato arrivi su quel gene (la serratura) e lo tagli. Così non c’è più la serratura e l’Odio (nel caso specifico) non riesce a entrare.
I genetisti sono entusiasti, sperano di riuscire sia ad aumentare le resistenze delle piante, sia a modificare con precisione dei geni (magari quelli che possono fornire qualità alla pianta). Il Crispr non costa molto, è preciso e può essere utilizzano dalle pubbliche Università per migliorare i nostri prodotti tipici.
Vogliamo cambiare l’agricoltura? La buona notizia è che si può fare. La cattiva notizia? Non parliamo abbastanza e con costanza e pazienza di queste tecniche. Quindi, il cittadino non è informato intorno le potenzialità della nuova straordinaria cassetta degli attrezzi, pensa al passato e non lavora con i nuovi utilissimi (e poco costosi) strumenti quotidiani.