La cervella bollita. No, macché bollita. Cotta al vapore su un piatto sopra una pentola d’acqua, con una scodella di vetro capovolta sopra. Arrivava a tavola con la scodella ancora sopra: quando s’alzava ne usciva un vapore denso, quasi solido. E quell’odore gelatinoso di materia grigia – colesterolo puro, ci hanno spiegato dopo, quando l’infanzia a colpi di cervella bollita una volta alla settimana se n’era ormai andata, lasciandomi sola con il mio colesterolo.Me la condivano con un filo d’olio verdastro e tanto succo di limone
La tagliavo con la forchetta quando era tiepida, molle cedevole alla posata e al palato. Un attimo di sgomento in bocca, ma poi che buona, che piena, che sapore denso e sostanzioso. Una festa di neuroni altrui, settimana dopo settimana.