Per parlare dei propri padri bisogna prima trovare un posto comodo. Individuare l’angolo migliore, quello che più ci convince, una posizione che ci fa sentire abili e non solo in debito, scegliere dei buoni oggetti di rappresentazione, un giusto equilibrio di luce e ombra e, magari, anche del rumore di sottofondo: tutto questo aiuta a trovare la voce per raccontare quella storia privata e intima, così radicata in noi che, lo sappiamo, incontrerà sempre degli ostacoli a staccarsi, uscire fuori, soprattutto in forma nuda.
Ecco che ancora una volta la letteratura sa essere utile (anche se siamo contro l’impegno della letteratura), perché coprendo scopre, rappresentando esprime, aiuta a ricordare.
Con il suo libro Il gioco dei padri (Avagliano Editore), Anna Maria Sciascia, la figlia dello scrittore siciliano di Racalmuto (si celebra quest’anno il centenario della nascita), col supporto di una ricca documentazione bibliografica ed epistolare, racconta alcuni tratti intimi della vicenda familiare di Luigi Pirandello, in particolare il rapporto di Luigi con la moglie Maria Antonietta Portulano e quello con la figlia Lietta. Storie segnate dal tormento e dalla continua ricerca di un punto di contatto solido e stabile, ma condannate a non riuscirvi, sembra un paradosso, proprio a causa proprio dell’arte, della letteratura, cui Luigi ha dedicato la vita (“la vita o la si vive o la si scrive”).
Anna Maria Sciascia conosce bene le vicende della famiglia Pirandello e con lo scrittore ha un legame che si imprimerà come originario: tra suo padre Leonardo e Luigi c’è un forte sodalizio artistico, Pirandello è una figura costantemente presente in casa Sciascia con il suoi libri, con un suo ritratto fotografico messo sulla scrivania dello studio del padre, e Sciascia introdurrà la figlia Anna Maria alla lettura proprio con le opere di Pirandello. Ma il ritratto che la Anna Maria Sciascia fa dei rapporti all’interno della famiglia Pirandello contiene qualcosa di più grande di questa volta letteraria, qualcosa che passa dall’arte alla vita, perché parlare del rapporto di Pirandello con la moglie e la figlia ha fornito alla Sciascia le coordinate di quella posizione comoda, utile, e forse necessaria, per poter parlare di sé, della sua famiglia, del legame con suo padre Leonardo (il titolo del libro è al plurale, Il gioco dei padri) del suo rapporto con la letteratura e le scelte fatte, di conseguenza, nella vita. Un intreccio narrativo delicato, un gioco di specchi non ostentato ma esplicito, misurato in modo consapevole dall’autrice.
I rapporti di Luigi Pirandello con la moglie e la figlia sono governati da un desiderio ossessivo di possesso (narcisistico diremmo oggi), bisogno di vicinanza e di continue conferme, sentimenti che nel tempo deflagrano drammaticamente diventando il loro l’opposto: muro e distanza, incomunicabilità, dolore e, nel caso della moglie di Pirandello, disagio psichico. E Luigi, al di là di una semplice schematizzazione di genere, non ne esce come la figura forte e avvantaggiata, rimanendo condannato anche lui a un’esistenza di tormenti a causa dei propri fantasmi psichici, che non gli permetteranno mai di vivere con libertà d’animo, condannandolo a rimanere piegato sotto i propri sensi di colpa.
Il muro che soffoca e distrugge la famiglia Pirandello è costituito proprio dalla letteratura, perché mentre Luigi fa lo scrittore, acquisisce sempre più fama fino a essere lodato in tutto il mondo, la figlia ne è ammirata e innamorata a tal punto da sentirsi nel continuo rischio di deluderlo, e, sempre più immersa nel sentimento di inadeguatezza (che finirà per diventare certezza definitiva dopo che il padre sceglierà di rompere i rapporti con lei) nel frattempo sposa un uomo semplice, lontano dalle glorie paterne, e sacrifica la propria vita per i figli abbandonando ogni sua predilezione e talento letterario, che il padre aveva visto in lei. Anche la moglie di Pirandello, Maria Antonietta vive intrappolata nel destino di chi non si sente mai all’altezza (Luigi voleva farla diventare scrittrice), condannandosi a una autoesclusione dal mondo del marito, scelta che le costerà così tanto dolore da trasformarsi in disagio e malattia psichica. Due storie, quelle di Lietta e Maria Antonietta, basate sul senso di inadeguatezza e rinuncia definitiva.
Ma qual è l’intreccio tra loro e Anna Maria Sciascia disegnato ne Il gioco dei padri? Anche lei è stata segnata dall’essere figlia di uno scrittore, e anche per lei la letteratura è il gigante che l’ha fatta sin da piccola sentire inadeguata ed esclusa dal mondo di chi più amava:
“..il mio complesso rapporto con i libri, nodo inestricabile della mia vita, nemici temuti dell’infanzia: avevano infatti il primo posto nella vita dei miei genitori e di mia sorella, mi toglievano le attenzioni..mi sentivo diversa, esclusa dal loro mondo anche se contemporaneamente ne ero attratta”…”piano piano, con grande sforzo ho cercato di inserirmi nel mondo”… “ mi sono laureata e sposata, ho trovato un lavoro tranquillo anche se monotono e poco gratificante, mi sono insomma lasciata trascinare dalla vita”.
Ed ecco lo specchio della sua storia con quello delle donne di Pirandello:
”il dramma di Antonietta e l’inquietudine di Lietta mi hanno portato, per simpatia, a rivedere la mia vita. pian piano, attraverso il ricordo di episodi, lacerazioni, piccoli traumi in parte dimenticati e talvolta completamente rimossi, ritrovati con grande sforzo introspettivo e rivissuti con quella coscienza piena che la rimozione aveva allora evitato e che rende oggi quella sofferenza ormai lontana struggente memoria”…
Come nelle novelle pirandelliane, quando tutto sembra esser deciso, accade qualcosa: Anna Maria Sciascia si riprende la (sua) letteratura e la usa come ponte, ricongiungimento, con quanto a un certo punto, da piccola, era stato interrotto:
“poi mi viene offerta l’opportunità di un lavoro diverso…la possibilità di occuparmi di letteratura”…”vengo presa dal panico, per me è troppo tardi per un viaggio letterario intorno a Pirandello, o più semplicemente non sono mai stata in grado di salire su quel treno”.
Quel treno va ben oltre la questione del mestiere, qui (e non solo qui) l’affair letteratura è una misura della vita, è il cosa fare della propria vita:
“ho scelto un’esistenza tranquilla…. al riparo da coinvolgimenti intellettuali, competizioni e ambizioni finché caso e fatalità non mi hanno portato, proprio come un gioco del destino, a queste pagine”.