Un connubio d’amore. Questo è il mio cibo dell’infanzia. I miei nonni, insieme, preparavano le polpette di patate, perfette solo se fatte con un certo criterio e una certa sinergia. La cura di ogni dettaglio, l’attenzione quasi maniacale e allo stesso tempo naturale, semplice, permetteva di percepire il gusto, ancora prima che in bocca, già durante la fase preparatoria che immetteva nell’aria, insieme all’odore della salsedine che entrava dalla finestra aperta, i singoli ingredienti trattati con dedizione uno per uno prima di essere accostati. L’uovo bollito tagliato a pezzettini piccoli piccoli da una parte, la salsiccia rossa e lacrimosa nel suo piattino bianco, la sottiletta nel piatto bianco con i fiori celesti in un altro, le patate schiacciate nella loro ciotola e l’angolo della panatura. Tutto rigorosamente separato sul tavolo di marmo, in ordine e ben chiaro. Il momento della frittura, per noi che osservavamo questo rito, impazienti era il “finalmente ci siamo”, in realtà bisognava aspettare un attimo ancora e una volta stiepidite il godimento era totale. La morbidezza e la croccantezza unite all’intensità della salsiccia rendevano questa polpetta sublime, unica, come unico era il loro amore condiviso, assoluto e complice. L’unica frittura che il giorno dopo, o peggio ancora fredda, rimaneva deliziosa. Oggi qualcuno le rifà … buone, buonissime ma… non glielo diciamo… manca il mare.