Nonna Lina aveva un fisico corpulento, un viso largo senza rughe e un sorriso allegro e sincero. A dire il vero era la mia zia materna, ma per me, che non avevo fatto in tempo a conoscere mia nonna, era lei mia nonna. Con la mia famiglia andavamo a trovarla una o due volte l’anno. Il suo paese era adagiato su una collina. In estate lo circondavano i campi di grano giallo che ondeggiavano al vento e abbagliavano di sole. Arrivavamo dalla città dopo un viaggio di molte ore. Nonna Lina abitava al piano terra di una vecchia casa di pietra, sulla piazza centrale del paese. Arrivati, correvo subito in casa e saltavo tra le sue braccia aperte per salutarla. Poi entravo in cucina dove c’erano il camino, un grande tavolo, la botola per scendere in cantina, ma soprattutto la cassapanca dei dolci. Mi ci mettevo di fronte, mi piegavo sulle ginocchia e aprivo il coperchio con entrambe le mani. Mi investiva allora un profumo inebriante che quasi mi stordiva. Nella cassapanca erano adagiati strati e strati di dolci separati da una sottile carta velina. Cioccolato, marmellata di visciole, crostatine di crema, biscotti di mandorle: infilavo le mani in quel tesoro e poi le ritiravo su con tutti i dolci che riuscivo a prendere. Poi scappavo via, mi sedevo sui gradini della porta d’ingresso sulla piazza e mangiavo senza fermarmi fino all’ultima briciola. Oggi cerco ancora il sapore di quei dolci, ineguagliabile, e il colore giallo, abbagliante, del grano.