La cucina di mia nonna era così: un enorme crocevia di fragranze, un dedalo stratificato di tradizioni, odori e cotture lente. Quasi svogliate. Se chiudo gli occhi e ci penso, riesco ancora a sentire il profumo del basilico fresco che s’addormentava sulla doratura delle triglie. O l’abbraccio rassicurante della passata di pomodoro che imbottigliavamo in estate, in una sorta di liturgia inusuale ed invariabile a cui tutta la famiglia doveva necessariamente partecipare. Io avevo una decina d’anni ed in quella cucina in perenne attività ci sono cresciuto. Il piatto della mia infanzia è il brodetto di pesce. Che è a tutt’oggi un piatto simbolo della cucina marinara adriatica ma che, a casa della mia nonna, era semplicemente una prassi, un presupposto della quotidianità. Per gente abituata al mare, l’odore del pesce è una pratica innata, quasi intrinseca. Tanto naturale che mia nonna disponeva sul tavolo il pescato di fianco ai pomodori e agli odori in una sorta di ordine cromatico frutto della consuetudine. Il privilegio di aver razzolato, da bambino, tra i fumi e le cotture, mi ha regalato una mappa sensoriale e l’opportunità di “vedere” odori e sapori in una dimensione quasi tridimensionale: il pesce fresco mi guida ancora oggi fino al mare attraverso sentieri olfattivi che in qualche modo trovano la strada nella mia memoria. Ma questi, nella mia vita di oggi, fatta invece di tempi stretti, scatti e cibi veloci, sono solo sprazzi. Sprazzi di felicità.