Il Registro Nazionale delle varietà di Vite da vino conta al momento 605 vitigni. Sono tantissimi, certo, non con tutti fai un buon vito, ma il patrimonio viticolo italiano, oltre a formare legami culturali e territoriali, è anche una straordinaria cassaforte: ci sono dentro, a disposizione dei genetisti, per esempio, i geni per le resistenze alle malattie e ad altri stress.
Fatti i conti abbiamo 35 varietà ibride interspecifiche resistenti alla peronospora e allo oidio. Di recente Alberto Palliotti, Stefano Poni e Oriana Silvestroni hanno coordinato una squadra di autori, i quali hanno illustrato e analizzato molti dei genotipi italiani autoctoni poco noti e tuttavia diffusi sul territorio italiano. Il libro, Atlante dei vitigni e vini di territorio, edito da Edagricole, è un bellissimo e utile compendio (sicuramente un regalo da fare) per capire in primo luogo quali legami istaura il vino con il territorio, e poi per identificare varietà particolari e poco note con nomi evocativi (il Grero, il Fumin, il Terribbile, il Nasco, l’Erbamat, il Maor, l’Orpicchio, il Notardomenico, l’Oseleta, il Brettio…), nonché vitigni resistenti ai vari tipi di stress. Solo a mo’ di esempio, citiamo un vitigno umbro, l’uva Cornetta, così detta perché i suoi acini assomigliano a piccoli corni, utilizzato da sempre per produrre un vino passito, da fine pasto, la Vernaccia di Cannara. Ebbene, questo vitigno è noto fin dal 1330, tanto è vero che Dante cita la Vernaccia nella Divina Commedia riferendosi al papa Martino che, a sentire molti commentatori dell’epoca, era di bocca buona e annegava le anguille del lago di Bolsena proprio nel Vernaccia.