Molino49 è un progetto che nasce dal recupero del vecchio oleificio Fe’ (1949) a Città della Pieve. Oggi quello che abita in questi spazi storici è un hub di gastronomia iper moderno, dove la cucina si impasta con le discipline ingegneristiche, la tecnologia, i big data e le scienze nutrizionali. Come?
Qui molazze, fiescoli e presse antiche conducono a laboratori dai macchinari sofisticati (che di solito si vedono in centri hight tech o laboratori medici) e a spazi di sperimentazione per la trasformazione del cibo, prima di arrivare alle cucine. Proseguendo si passa davanti al Food Theatre, dove si svolgono show cooking, poi si arriva ai giardini, per respirare il profumo del legno che brucia nelle piccole braci sparse qua e là, e si sale allo spazio eventi, un wine bar di design. Qui c’è anche un piccolo bosco in serra cui segue, sulla sinistra, uno studio medico nutrizionista. Nella terrazza si mangia in compagnia, oltre che degli ulivi, di profumate erbe mediche. Poi si scende di nuovo, al ristorante, che con le pareti in vetro affaccia sui giardini. Il bosco arriva anche nei bagni, con il muschio vero che sale sulle pareti.
Questa è la raffinata estetica di Molino49, un progetto da firma di archistar. Ma cosa c’è dietro? Qual è l’intento di questo posto dove il cibo sembra essere solo una delle tappe e delle esperienze possibili?
Molino49 è un progetto multidisciplinare che mette insieme tutti i processi che riguardano i grandi temi del cibo oggi: nutrizionali, culturali e tecnologici.
L’idea è di Erica Momi, figlia di imprenditori locali, laureata in psicologia con una specializzazione in disturbi alimentari. Insieme a chef e consulenti, ha messo su questo hub del food che oggi richiama turisti da tutto il mondo. “La nostra idea – ci spiega Erica Momi – non è solo portare del buon cibo nel piatto, magari con qualche tocco di suggestione e di avanguardia stilistica. Qui il cibo è valorizzato in tutta la sua complessità, come bisogno primario, come esperienza relazionale tra le più praticate, come strumento di salute, come oggetto di ricerca e innovazione continua, come filiera che ha un impatto economico e ambientale, come identità di un territorio”.
La tecnologia sembra avere un posto centrale a Molino49. Insieme alla scelta di materie prime di qualità, provenienti per lo più dal territorio, tra cucina e laboratori si lavora con gli strumenti di apprendimento automatico, big data, realtà aumentata, bioingegneria. “Giocando con la matematica – racconta ancora Erika Momi – abbiamo dato una nuova forma alle ricette, lavorando alla struttura geometrica dei vari ingredienti per trasformarli. In questo modo pensiamo anche allo spreco e all’ambiente. Uno dei nostri primi progetti riguarda l’acqua: estrarre acqua dal cibo permette di rimodellare la consistenza del sapore, ridefinire data di scadenza”.
Ecco che nel piatto arriva un’innovativa chips (chiamata Piuma), fatta di pollo e patate arrosto, o un risotto cotto in acqua di parmigiano mantecato con verdure marinate. Ma uno dei piatti che sintetizza tutte le energie di Molino49 è sicuramente l’Umburger, rivisitazione in chiave modernista dell’amato big mac (panino con carne, formaggio, cipolla, insalata e patatine) grazie a un lavoro di ingegneria gastronomica. Cosa c’è dentro e soprattutto cosa c’è prima di quello che arriva in tavola? La prima cosa è il territorio: carne chianina, cipolla di Cannara, lattuga dell’orto, pecorino di fossa. Queste materie prime vengono ripensate in chiave salutistica e ambientalista insieme, mettendo insieme i temi dell’obesità, della tradizione territoriale e dello spreco: le bucce di cipolla vengono lavorate in modo da esser riutilizzate con l’estrattore a freddo, e poi vengono cotte nella loro acqua. Le bucce delle patate prima vengono frullate, abbattute, poi rilavorate e rese cremose e poi messe a 60 gradi e strutturate, infine colate a 180 gradi e fritte ad aria (in forni a vapore dove l’olio utilizzato è praticamente nullo) per essere condite con tutti i sapori delle fries. Al pecorino viene tolta tutta la parte grassa, viene estratta la parte più aggressiva, e reso “sottiletta” con tutto il suo sapore.
Il tema della sostenibilità è al centro dei processi di Molino49: qui la gestione degli scarti non è una fase ex post, è messa al centro della produzione, e tutto è pensato nell’ottica dell’uso totale degli ingredienti, puntando allo scarto zero. Al piano di sotto c’è un laboratorio diviso in tre ambienti separati di lavorazione: vegetale, carne, pesce dove non c’è contaminazione e ogni scarto può essere meglio inserito nel processo di riutilizzo, attivando un sistema di raccolta differenziata innovativo.Insomma quello vive qui è il mondo nuovo del food, quello delle eccellenze che di solito sono riservate a pochi, anche per i prezzi che vengono applicati. Al Molino49 invece c’è l’idea opposta, rendere le eccellenze accessibili, soprattutto ai giovani, senza speculare su materie prime e prodotti a km zero: “La nuova cultura del cibo – dice Erica Momi – è fatta di mito, scienza, istinto e tecnologia insieme. Il ciboè la meravigliosa risultante di tanti elementi, e qui li vogliamo mettere in scena insieme, rendere il nostro pubblico partecipe e consapevole dell’intero processo. Il cibo è un lungo racconto e insieme un ampio piano di azione. E Il senso di condivisione, di accessibilità è anche manifestato nella nostra scelta di applicare prezzi accessibili. Il nostro è un progetto aperto, inclusivo”.