Chi era tuo padre?
Mimmo Amaddeo era un calabrese, nato nel 1925 da madre messinese e padre reggino, restato al Nord dopo la guerra, prima a Milano e poi, dal 1956, a Bergamo alta.
E qui?
Qui ha aperto una pizzeria con mia madre, Angelina, in una Bergamo alta ancora devastata dalla guerra che fu addirittura oggetto di un piano di risanamento urbanistico. Portare la pizza e i piatti del sud in un luogo così lontano dalle sue origini fu un’impresa folle ma tipica della mentalità di quei tempi in cui il sogno collettivo era rinascere facendo leva sul proprio talento. La storia di Mimmo è la classica storia di un italiano del sud che ha fatto dell’emigrazione sua e della sua famiglia un fatto di integrazione residenziale e imprenditoriale.
Come prese la pizzeria?
Mimmo, mio padre lavorava a Milano in via Agnello in una pizzeria frequentata da attori e scrittori come Leo Longanesi. Uno di questi vedendolo molto bravo e dinamico gli propose l’acquisto di un piccolo locale in un “paesino di montagna vicino Milano di nome Bergamo alta”.
Paesino di montagna?
Era così che i milanesi pensavano Bergamo. Mio padre, nel suo giorno di riposo, prese la sua Lambretta comprata da poco e arrivo a Bergamo alta, un luogo bello ma sfigurato dalla guerra e dalla miseria. Incontro il titolare del locale, ci parlò e gli disse che non aveva tutta la somma per acquistare ma che in un anno avrebbe pagato tutto. Il venditore, un bergamasco sempre con la sigaretta in bocca, gli strinse la mano e si fidò.
Vecchia scuola…e poi?
Mio padre tornò a casa e ne parlò a mia madre che manifestò tutto la sua contrarietà. Mio padre Mimmo, per convincerla, la portò a Bergamo, stavolta in treno. Prima di salire in Bergamo alta le fece vedere Bergamo bassa che era più pulita e in ordine, poi presero la funicolare e arrivarono in quel posto che oggi è uno dei centri storici d’Italia più belli ma allora era un luogo ai limiti della decenza sanitaria. La portò davanti al locale e glielo fece vedere.
Immagino che non reagì bene…
Sì, mia madre Angelina si mise a piangere nel vedere tutto quel fumo di sigarette che usciva da quell’angusto posto, aveva capito che lo aveva già comprato e gliene disse di tutti i colori. Molti anni dopo chiesi a mio padre come si era veramente sentito subito dopo l’acquisto in cui aveva scommesso tutti i suoi risparmi, mi rispose:” Pensai, che cazzata che ho fatto! Perché non so dire no?”
Comunque, disse di sì, come organizzò la pizzeria? Cioè, come convinse quei bergamaschi del paesino di montagna a mangiare la pizza?
In effetti Mimmo ripeteva spesso che aveva fatto molta fatica a convincere i bergamaschi a gustare pizze, Arancini, fritture, mozzarelle in carrozza, parmigiane di melanzane. La varietà delle ricette bergamasche era ridotta a pochi piatti, polenta, formaggi, casoncelli e baccalà detto bertagnì. Ma il colpo di genio fu acquistare la televisione, un investimento molto pesante.
Lascia e Raddoppia?
Sì, il giovedì il locale si riempiva di persone che volevano vedere “Lascia o raddoppia” con Mike Bongiorno. Pochi potevano avere la televisione in casa, a quel tempo. Così cominciò a spargersi la voce e i clienti cominciarono ad arrivare dalle valli, al sabato e la domenica, per assaggiare un cartoccio di pesce, un pizza, magari avvolta nella carta oleata, un arancino.
Il marketing è tutto…
In effetti: Un altro colpo di marketing fu quello di offrirlo gratis per una volta agli studenti del vicino liceo classico Paolo Sarpi, figli della borghesia con qualche moneta in tasca. Ancora oggi incontro qualcuno che ricorda le fughe nell’intervallo per andare a mangiare quel disco di pasta mai visto prima.
Fantastico e poi?
Poi cominciarono ad arrivare i primi impiegati o professori dal Sud, non avevano famiglia, quindi, si riunivano da mio padre che ridava al loro la sensazione del cibo di casa. A loro concedeva la possibilità di pagare a fine mese, quando prendevano lo stipendio. Insomma qualcuno si era fidato di lui e lui ritornava il favore attraverso altri…..
Altri aneddoti?
Ci sarebbe anche un altro aneddoto simpatico riguardante il desiderio di mio padre di convincere del suo prodotto…
Vai
I primi tempi erano difficili, nessuno capiva cosa vendesse quel locale, al massimo associavano la pizza a Napoli e quindi continuavano a chiedere a mio padre se provenisse da lì. Mio padre calabrese orgoglioso ribatteva che veniva da Reggio Calabria e che le pizze si facevano anche da altre parti. Ma tutti lo guardavano senza capire. Dopo un po’ , all’ennesima identica domanda, Mimmo fece stampare della carta oleata con l’immagine del Vesuvio e la scritta “ Vera pizza napoletana “con cui incartare le pizze . Decise così di essere quello che la gente voleva che fosse, anche perché aveva giurato che avrebbe pagato il debito e non poteva certo perdersi in discussioni inutili.
Cosa hai preso dal testimone di tuo padre e dove l’hai portato?
Nel 1985 avevo 20 anni, mio padre era indeciso se continuare o no, lui aveva 60 anni, mia madre 54. I primi 4 figli, tre ragazze e un ragazzo non si volevano occupare del ristorante perché avevano studiato per fare altro. Del resto i miei genitori consideravano la formazione scolastica al primo posto, per loro era un successo avere figli laureati.
Così…
Così, per pura combinazione, io che avevo 20 anni, diventai l’ultima spiaggia. Mio padre mi chiese secco se me la sentivo, altrimenti avrebbe venduto. Io, che non avrei potuto sopportare di vedere qualcuno lavorare in quella che consideravo soprattutto casa mia, risposi di si e rilanciai in modo anche abbastanza arrogante che però lui doveva intervenire il meno possibile. Lui rispose affermativamente ma si sa che i passaggi generazionali non sono mai all’acqua di rose.
Perché
Avevo passato le estati a lavorare e durante gli inverni alternavo studi al liceo con serate a servire ai tavoli, mi sentivo pronto. Naturalmente mio padre non si fece affatto da parte e le litigate erano all’ordine del giorno. Mimmo voleva che continuassi sulla sua strada ma io non volevo fare il figlio fotocopia e con le scintille accendevamo la legna tutte le mattine.
Come andò a finire?
Decisiva ancora una volta mia madre che cuciva i nostri rapporti dicendo a lui di lasciarmi fare e a me di rispettarlo. Erano gli anni 80, le pizzerie mi sembravano tutte uguali, sia nella proposta gastronomica che negli arredi, tutti avevano copiato mio padre, le trattorie, nate dal sogno di famiglie che volevano cucinare a tutti il loro piatto della domenica, presero due strade: o divennero stellate o lasciavano il posto ai vari MCDonald. Io decisi di mettermi in mezzo a questi due mondi, il ristorante era grande e poteva accogliere sia coloro che volevano mangiare una pizza sia coloro che volevano qualcosa di più senza spendere troppo nè troppo poco. Bergamo alta ormai era diventata bella, la valorizzazione del centro storico andava avanti, i primi turisti stavano arrivando.
Cosa proponesti?
Io cominciai semplicemente a recuperare le ricette di mia nonna che mio padre aveva via via abbandonato per stare al passo con i tempi. Ecco, più lui voleva essere attuale più io recuperavo le sue origini a cui lui stavano ormai strette. Volevo che si capisse chiaramente che la mia proposta era quella delle origini, calabresi e messinesi, e quella di adozione con i piatti locali. Due traiettorie parallele che volevo si incontrassero all’infinito. Quindi pesce fresco, pesce azzurro, bottiglie importanti, perché no? Perché non in una pizzeria. Alla fine degli anni 80 mi venne in soccorso mio fratello Massimiliano, che è stato per me una vera manna dal cielo, forse è lui il vero erede di mio padre.
Cioè?
Max diventó subito sommelier e aveva una cura spasmodica della sala. Il titolo ristorante pizzeria cominciava a starci stretto, noi ci sentivamo solo Mimmo ma molti, soprattutto i giornalisti gastronomici, non ci consideravano. Allora prendemmo una decisione, aprimmo nel 1998, di fronte a Mimmo, un negozio -gastronomia e lo chiamammo Mimì, il nome di mio padre da piccolo, così lo chiamava sua madre, come vedi ancora un ritorno al futuro. Volevamo avere il negozio del ristorante per vendere al dettaglio i nostri prodotti per farne capire la qualità.
E questa idea, come nacque?
L’idea di questa boutique mi venne in un Natale a Parigi, dove quasi tutti i ristoranti di un certo livello avevano il loro negozio, guardavo le vetrine di Hediard, Fouchon, Laduree e sognavo.
Immagino che funzionò…
La mossa fu azzeccata al punto che finalmente anche i giornalisti enogastronomici si accorsero di noi. Nel tempo, i clienti della gastronomia corniciarono a chiedere di poter assaggiare qualcosa e allora pensammo di predisporre qualche sgabello con tavoli alti. Oggi di fatto Mimì è il nostro bistrot o, se vogliamo parlare in italiano, la nostra trattoria dedicata soprattutto alla clientela straniera.
Ma ora che obiettivi avevate, tu e tuo fratello?
Uno degli obiettivi principali di me e mio fratello era quello di dare valore anche alla casa che ci accoglieva, una casa del 1300 che era stata, in epoca veneziana, sede del primo servizio postale. A mio padre del passato non fregava nulla, capì più tardi che questo atteggiamento era tipico di chi aveva fatto la guerra.
Certo, capisco.
Così cominciammo la ristrutturazione del locale riportando al loro splendore le pietre, gli affreschi, le volte di quella casa, ma soprattutto togliendo le boiserie in legno tornito che caratterizzavano quell’epoca. Ma per ristrutturare ci serviva qualcuno che ci guidasse il cantiere e quindi chiamai in causa anche un altro mio fratello, Mauro, geometra. Ovviamente, una volta entrato da Mimmo, anche lui fu avvinghiato dalla piovra della ristorazione e dal 2004 è entrato sempre più nella gestione del locale. Nel frattempo ricevevamo molte proposte di aperture di altri locali ma non ce la sentivamo, non ci piaceva l’idea di sfruttare un marchio e poi era già difficile quello che stavamo facendo. A questo punto l’ennesima svolta, compare sulla scena la terza generazione rappresentata da mio nipote Massimo( sì, con i nomi abbiamo poca fantasia ),figlio di mio fratello medico Paolo.
Ok e Massimo che fa?
Massimo è ingegnere navale ma innamorato del cibo come noi. Massimo capisce che se vogliamo aprire altri locali dobbiamo per forza centralizzare la produzione e ottimizzare i tempi. Quindi apriamo nel 2017 il laboratorio, oggi diremmo Dark Kitchen, centro di cottura che produce lavorati e semilavorati per i nostri locali. Innovare il sistema produttivo era la sfida della terza generazione, metodi artigianali ma tecnologia all’avanguardia, cotture a bassa temperatura, camere di lievitazione, lieviti conservati per creare impasti nuovi. Un investimento molto importante ma necessario che ci faceva sentire pronti ad affrontare altre sfide.
Tuo padre?
Mimmo muore a 92 anni proprio quell’anno, da qualche anno avevamo smesso di litigare. Il laboratorio si chiama Lina, ca va sans dire, il nome di mia mamma, il vero motore, del resto , era stato lei. Così nel 2018 ci capitano tre occasioni tutte insieme, l’apertura di un ristorante sui colli di Bergamo, in un parco dove si gioca a golf, gestito da mio fratello Max, un’osteria moderna sulla stessa via del nostro ristorante che abbiamo chiamato Medì e, per finire, una locanda con 5 stanze all’ultimo piano del palazzo stesso, proprio come le locande veneziane del 1400/500. Così abbiamo voluto creare il nostro distretto del cibo. Mio nipote sta per lanciare un nuovo brand che avrà il focus sulla pizza curata nella varietà degli impasti e i nostri dolci, come si chiamerà? Che domanda, Angelina . Massimo ha il sogno di andare a contrastare i marchi seriali che stanno fiorendo in tutta Italia e in Europa, l’obiettivo è cambiare sistema produttivo centralizzando le cotture e controllando all’origine la qualità , diventare produttori e non solo gestori di prodotto attraverso l’automazione per diminuire i costi di produzione, per avere migliori prezzi d’acquisto e di vendita , per avere margini per assumere e crescere .
Per finire: progetti, per la sostenibilità enogastronomica?
Far partire dal laboratorio la formazione del personale di cucina. Creare una nicchia di mercato, con produzione propria , occupandola per primi sfruttando la novità Utilizzare una filiera corta con una tracciabilità certa
P. S. Nel frattempo le mie sorelle ormai in pensione si sono messe a fare di nuovo le torte che con tutti i compleanni che dobbiamo festeggiare, servono sempre.