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Home L'intervista

Questa volta parla il frumento duro Senatore Cappelli, e spiffera tutto (raccontato grazie alla voce e alla competenza di Pasquale de Vita)

da Redazione
05/09/2023
in L'intervista
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Ma la pasta prima che arrivassi tu?

Non sono certo io a ricordarvi che l’Italia è il Paese delle paste alimentari più apprezzate in tutto il mondo e che, per secoli, l’approvvigionamento della materia prima è stato in gran parte assicurato dalle importazioni di grano duro provenienti dalla Russia.  I bastimenti carichi di grano partivano dal porto di Taganrog, una cittadina Russa sul Mare di Azov, alla volta di Napoli e di Imperia, carichi di questo pregiato grano che tutti i pastai italiani volevano accaparrarsi. Il motivo era legato al fatto che nel XVIII e XIX secolo la maggior parte dei grani duri coltivati in Italia avevano la consistenza della granella semidura, farinosa, poco adatta alla trasformazione industriale. Solo in Capitanata, oltre alle Bianchette si producevano le Saragolle, varietà locali di grani duri di pregio molto richieste dalla industria pastaria napoletana, ma poco apprezzate dagli agricoltori per il loro scarso rendimento agronomico. Spesso queste due qualità di grano venivano usate in miscela tra loro e con altri grani di scarso valore. Il grano Taganrog dava la forza all’impasto ed il nerbo alla pasta, mentre le Saragolle il sapore ed il colore. Nel 1917, con la Rivoluzione d’ottobre in Russia, lo scenario mondiale degli scambi commerciali cambiò radicalmente, così anche quello dei grani e del Taganrog.

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E poi che fine hai fatto?

Dopo aver primeggiato e ottenuto vittorie in Italia e all’estero, a partire dalla fine dagli anni ’60, piano piano, ho ceduto il posto alle varietà moderne molto più produttive di me e anche più adatte alla produzione di pasta. E così un po’ come succede ai grandi cavalli da corsa, a fine carriera sono stato avviato all’attività di riproduttore e utilizzato come progenitore in tanti programmi di miglioramento genetico. E oggi, circa l’80% delle varietà di grano duro commercializzate nel mondo hanno nel loro patrimonio genetico una certa percentuale del mio sangue (=DNA). 

Chi meglio di te può parlarci dei grani antichi…

Attualmente, nel linguaggio comune rappresentano una categoria commerciale di prodotti a base di “specie antiche” di grano appartenenti al genere Triticum (i.e., farro monococco, farro dicocco, farro spelta, grano turanico) oppure di varietà “obsolete” di grano duro e tenero, in genere a taglia alta, che per decenni erano state abbandonate per il loro scarso valore agronomico (i.e., Timilia, Russello, Saragolle, ma anche Bianchetta, Risciole, Gentilrosso, etc…) e che oggi attraverso numerose iniziative di carattere privato e pubblico (i.e., Programmi di sviluppo regionali e Bandi nazionali) sono state recuperate e valorizzate attraverso la produzione di prodotti trasformati di vario tipo. Purtroppo, però, “in alcuni casi” nella narrazione dei grani antichi, si associano anche messaggi che tendono a delegittimare e/o a screditare la pasta industriale, quella per la quale siamo riconosciuti leader nel mondo, generando confusione e false credenze. Dal punto di vista tecnologico e di lavorabilità della materia prima le varietà moderne sono più performanti. Non c’è alcun dubbio. E che queste migliori performance tecnologiche dipendano dal miglioramento della qualità del glutine, è altrettanto assodato. La comunità scientifica ha anche chiarito che non c’è alcuna relazione causa-effetto tra la qualità del glutine delle varietà moderne e l’insorgenza delle patologie legate al glutine (i.e., celiachia, allergie, sensibilità non celiaca al frumento, etc…). Tra l’altro vorrei anche far notare che tra le varietà moderne ce ne sono diverse che hanno un glutine debole, addirittura più debole del mio e di quello di tanti altri grani antichi; questo perché non c’è nessun legame diretto tra la maggiore produttività dei grani moderni a taglia bassa e la tenacità del glutine. Sono due caratteri indipendenti, regolati da fattori genetici diversi. Da questo punto di vista gli studi scientifici hanno dimostrato che tra grani antichi e moderni c’è una “sostanziale equivalenza”. Dal punto di vista nutrizionale e salutistico è importante chiarire che l’effetto della varietà sull’accumulo di fibre, vitamine, minerali ed alti composti che esercitano un’azione positiva sull’organismo umano è molto limitato, dal momento che la concentrazione di questi composti nella granella dipende molto dall’ambiente di coltivazione (ossia dal terreno e dalla modalità di coltivazione). Per di più il metodo di lavorazione ed in particolare di macinazione modifica in maniera determinante il valore nutrizionale del prodotto finale a prescindere che si tratti di varietà antica o moderna, dal momento che questi composti si depositano in grande quantità negli strati esterni (=crusca) della cariosside. Attenzione, però, ché negli stati esterni della granella dei cereali si concentrano anche composti ad azione “anti-nutrizionale” (i.e. fitati) che limitano e/o riducono la biodisponibilità dei minerali nell’organismo umano, rendendoli di fatto non inefficaci.(Tratto dall’intervista impossibile al grano duro, interpretato da Pasquale de Vita. L’ intervista integrale, lunga, imperdibile, è sul sito di agrifoglio, sezione “lezioni private”.

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