La CO2 in eccesso. All’origine di tutti i problemi c’è un aumento di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera, dovuto in gran parte all’uso dei combustibili fossili. Attualmente la concentrazione di CO2 è di circa 420 parti per milione, ma è attesa arrivare a circa 550 nei prossimi 30 anni.
Per le piante l’eccesso non è male. Questo incremento non è di per sé negativo per le piante, anzi, una maggiore disponibilità di questo gas costituisce una condizione favorevole per la crescita dei vegetali: le piante utilizzano la CO2 per fare fotosintesi (quindi crescere e produrre biomassa) e, per molte piante, il livello di CO2 presente nell’atmosfera è inferiore a quello che sarebbe ottimale per massimizzare il processo fotosintetico. Negli ultimi 10 anni sono stati realizzati diversi esperimenti nei quali piante di frumento venivano cresciute in condizioni di pieno campo ma all’interno di una bolla di atmosfera arricchita artificialmente con CO2. In questo modo è stato possibile simulare la crescita delle piante in presenza di un’atmosfera caratterizzata dalla concentrazione di CO2 attesa, ad esempio, nel 2050: questi studi hanno evidenziato che in assenza di stress idrici le piante di frumento aumentano la produzione di circa il 10%.
Però se con la CO2 cresce anche la temperatura, abbiamo un problema: l’incremento di CO2 nell’atmosfera ha tuttavia anche altre conseguenze meno favorevoli. In primo luogo, determina un aumento della temperatura media del pianeta. A questo proposito è necessario chiarire che l’incremento di temperatura non è (e non sarà) uniforme in tutte le zone del globo, in alcune regioni le temperature cresceranno molto più della media: tra queste vi sono quelle subpolari, con conseguente scioglimento dei ghiacci seguito da innalzamento del livello medio dei mari, e l’area mediterranea, che è considerata a tutti gli effetti un hotspot del cambiamento climatico. E se l’aumento di temperatura nelle regioni più settentrionali può avere anche impatti positivi sulla produzione agricola, l’aumento della temperatura nelle aree temperate e tropicali del pianeta ha (e avrà) effetti molto negativi sulla crescita delle piante.
Eh, i bei tempi: Questi effetti sono già visibili oggi: quando andavo a scuola, alla fine degli anni Sessanta, la maestra ci insegnava che ottobre era il mese della vendemmia, oggi la vendemmia inizia dopo la metà di agosto. Un anticipo di almeno un mese che è interamente ascrivibile all’innalzamento della temperatura. Un discorso simile si può fare per i cereali a semina autunnale come il frumento o l’orzo. Uno studio del Centro
di ricerca genomica e bioinformatica di Fiorenzuola d’Arda ha verificato l’epoca di spigatura di alcune varietà di orzo seminate ogni anno, per 15 anni, a partire dal 2003. Si è osservato che la stessa varietà, seminata nello stesso campo e trattata nello stesso modo, in 15 anni ha anticipato la spigatura di circa 10 giorni, e questo a causa delle più
elevate temperature invernali. L’incremento di temperatura non modifica solo l’epoca di spigatura o di maturazione dei prodotti: ne cambia anche la composizione. Se nell’uva le temperature elevate favoriscono l’accumulo di zuccheri e riducono l’acidità, con un impatto sulla caratteristica organolettica dei vini, «ondate di caldo» (periodi di 5-10 giorni con temperature molto più elevate rispetto alle medie climatiche) durante la fase di spigatura del frumento possono determinare una riduzione della fertilità delle spighe, mentre nel periodo compreso tra la spigatura e la maturazione dei semi limitano l’attività fotosintetica e conseguentemente la capacità della pianta di riempire i semi. Di conseguenza si hanno semi striminziti in cui il rapporto tra amido e proteine risulta modificato a favore delle proteine.
Poi c’è il problema acqua. Un’importante ripercussione dell’aumento della temperatura è la maggiore evaporazione di acqua, sia dai mari sia dal suolo. Una maggiore evaporazione implica una maggiore piovosità, che tuttavia non è (e non sarà)
distribuita in modo uniforme: i modelli climatici indicano infatti che la piovosità annuale aumenterà in modo significativo nelle regioni del Centro-Nord Europa e in quelle subpolari, mentre nell’area mediterranea si ridurrà notevolmente. In buona sostanza lo scenario climatico atteso per il bacino del Mediterraneo è caratterizzato da
un aumento della temperatura, con inverni più miti e possibili ondate di calore in estate, abbinato ad una tendenza alla diminuzione media delle piovosità. Se teniamo in considerazione anche che un aumento della temperatura causa un aumento del fabbisogno idrico delle colture, è ben evidente come «il problema acqua» diventerà centrale per l’agricoltura dei prossimi decenni.
Temperature più alte meno acqua uguale più malattie. L’aumento della temperatura e la riduzione della piovosità hanno effetti anche sulla diffusione delle malattie delle piante. Ad esempio, una malattia come la ruggine gialla del frumento, rara in Italia fino alla fine degli anni Novanta, si è diffusa in modo significativo nell’ultimo decennio proprio in conseguenza delle mutate condizioni climatiche.
Una conclusione? Più miglioramento genetico. Alla luce dello scenario climatico attuale e futuro, è quindi evidente che per continuare a mangiare il pane e la pasta che conosciamo sarà necessario modificare le piante di frumento, selezionando varietà resistenti a malattie nuove o riemerse, in grado di tollerare le alte temperature e capaci di risparmiare acqua o di ricavarne adeguate quantità dal suolo.
Genetica vs chimica. Il miglioramento genetico non deve far fronte soltanto ai cambiamenti del clima, ma anche tenere in considerazione le esigenze e i desiderata della società: fra questi, la richiesta, piuttosto pressante, di ridurre l’uso di sostanze chimiche in agricoltura. La già menzionata strategia europea Farm to Fork chiede agli Stati membri di ridurre l’uso dei fitofarmaci del 50% e quello dei fertilizzanti del 20% entro il 2030. Questi obiettivi non potranno essere raggiunti semplicemente trasformando l’agricoltura convenzionale in agricoltura biologica perché, se da un lato la coltivazione biologica vieta l’uso di fitofarmaci e fertilizzanti chimici, dall’altro non impedisce la diffusione delle malattie. È atteso che la conversione da agricoltura convenzionale ad agricoltura biologica per una coltura come il frumento determini una diminuzione della produttività che può essere stimata, in modo approssimato, in circa il 20-25%. Quindi, se l’agricoltura biologica può essere una soluzione per ridurre l’input chimico in agricoltura, non può però garantire la stessa produttività, e quindi la stessa disponibilità di cibo a basso prezzo, dell’agricoltura convenzionale. La soluzione per mantenere la capacità produttiva attuale riducendo l’input chimico passa attraverso la genetica: selezionando piante geneticamente più resistenti e capaci di un uso più efficiente dei fertilizzanti si potrà ridurre la chimica in agricoltura pur mantenendo la capacità produttiva.
(selezione tratta dall’imperdibile libro di Luigi Cattivelli Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie, il Mulino)