Allora grano Cappelli vuoi raccontarci la tua storia? Cominciamo dalla famiglia, i tuoi parenti?
Sono cresciuto senza confini, migrante per secoli e viaggiatore instancabile, prima forestiero e poi indigeno ed autoctono per “adozione”. La mia è stata un’adozione “internazionale” ed io l’ho scoperto solo quando sono arrivato in Italia e sono diventato più grande. E’ stato mio padre adottivo, Nazareno Strampelli, a raccontarmi tutta la storia, fatta di tante altre storie, con al centro i temi del viaggio, dell’accoglienza e dell’integrazione. La mia non è stata un’adozione dolorosa, come qualcuno potrebbe pensare, anzi, io sono stato molto fortunato perché da “pezzo di legno”, senza anima, confuso tra mille altri grani, senza cure e “senza nome”, sono andato incontro ad una serie di avventure e metamorfosi che mi hanno reso degno di diventare il primo della classe.
Dove abitavano i parenti? Le tue origini?
Le mie origini sono come quelle di tutti i grani del mondo, anche i miei antenati sono partiti dalle fertili valli solcate dal Tigri ed Eufrate e poi, spinti forse da un’esplosione demografica o forse da un cambiamento climatico importante, migrarono prima verso ovest e poi nelle altre direzioni. I miei parenti più prossimi, gli olyra o i pistikion, così venivano chiamati i farri dicocchi nell’antico Egitto, hanno soggiornato per lungo tempo nella terra dei Faraoni, dove hanno arricchito le loro tavole e li hanno accompagnati anche dopo la morte. Nell’antico Egitto, infatti, la vita e la morte erano legate indissolubilmente ed il farro era parte integrante del complemento alimentare che accompagnava il defunto nel suo viaggio verso l’Aldilà.
E poi?
Poi la carovana dei grani si divise, dall’Egitto alcuni proseguirono il cammino seguendo la rotta dei Balcani, passando dalla Grecia ed attraversarono la valle del Danubio fino a raggiungere i Paesi dell’Europa centro-meridionale, ad un ritmo di circa un miglio all’anno. Gli altri, decisero di seguire le rotte marittime del Mar Mediterraneo per approdare sulle coste dell’Italia meridionale, del Nord Africa e della Spagna.
Cosa ricordi di quel viaggio?
Ricordo che molti dei miei parenti, quelli più anziani, restarono indietro, non tanto perché non avessero voglia e possibilità di viaggiare e conoscere nuovi luoghi ma perché, per loro, liberare i semi dall’involucro esterno, richiedeva fatica, e questo divenne un elemento discriminante. Per cui, prima gli Egizi e poi i Romani cominciarono a preferire, i grani duri, come me, a seme nudo, pronti per essere macinati. Così, per noi, viaggiare era diventato molto più facile. Ricordo ad esempio che, per diversi secoli, Alessandria d’Egitto è stato uno dei porti più importanti del Mediterraneo, da cui partivano navi cariche di “grano alessandrino” verso Roma, Ostia e Pozzuoli.
E dimmi, tu quale rotta hai scelto?
Io ho seguito la rotta del mare; la stessa rotta che oggi seguono i “migranti” per sfuggire alla fame, ai conflitti, alle persecuzioni, ma anche per assicurarsi un futuro migliore. Questo è stato lo spirito che ha spinto anche me a partire e a cercare fortuna altrove. Durante il viaggio, io ed il mio gruppo di grani ci siamo mescolati, abbiamo fatto nuove amicizie, conosciuto nuovi luoghi (=habitat), ed in ogni luogo in cui siamo approdati, vi era sempre qualcuno di noi che restava, metteva su casa e famiglia, si adattava agli usi e costumi del posto, mentre tutti gli altri proseguivano il loro viaggio ed io con loro.
Ma alla fine tu dove ti sei fermato?
Non ricordo esattamente il luogo del nostro primo approdo, probabilmente è stata la Tunisia. Appena arrivati, abbiamo cercato subito un modo per sopravvivere alle insidie di questi luoghi, per noi sconosciuti e ostili; purtroppo, non tutti sono riusciti a trovarlo ed a sopravvivere. Le nuove condizioni climatiche modificarono in parte anche i nostri tratti somatici e fisiologici. Ed è così che ci siamo differenziati dando vita alle varietà locali (landraces), oggi definite anche popolazioni antiche, in cui gruppi più o meno omogenei di individui (=piante), si sono adattati e condividono lo stesso areale geografico.
E tu a quale di questi gruppi appartenevi?
Io appartenevo al gruppo che aveva le gambe lunghe e robuste (=culmi, steli), la testa grande (=spighe) ed i capelli e baffi lunghi e neri (=reste, ariste o barbe). In genere erano le nostre caratteristiche esteriori, che suggerivano alla gente del posto le denominazioni per distinguerci gli uni dagli altri. Il nome, infatti, non si riferiva ad una varietà botanica precisa, ma ad alcune caratteristiche della pianta, come il colore e la forma della spiga, oppure il colore e la lunghezza delle barbe. Per esempio, Kahla (sin. Madona, Kohili e Jenah Rhetifa) era il nome dato a tutti i grani che presentavano la spiga di colore nero-violaceo. Bidì era la denominazione dei grani duri con le spighe bianche, i semi piuttosto grandi ed ambrati e le reste nere. In alcuni casi, i contadini davano nomi diversi a forme che molti anni dopo insigni botanici avrebbero raggruppato all’interno di una stessa varietà botanica. Altre volte, lo stesso nome veniva conferito a forme diverse, a seconda delle regioni in cui ci si trovava. Anche se….
Anche se…
Io, per lungo tempo ho creduto di appartenere alla popolazione Jenah Rhetifa, quella con le spighe e le reste di colore nero-violaceo, almeno così è scritto nel mio certificato di adozione presentato all’anagrafe di Foggia da Nazareno Strampelli nel 1915. Recentemente, però, alcuni studiosi analizzando il mio DNA hanno trovato delle similitudini molto più accentuate con la popolazione Bidì (spiga bianca e reste nere); un’ipotesi che aveva manifestato anche Emanuele De Cillis, insigne agronomo italiano, nel 1927 nel suo libro “I grani d’Italia”. In effetti, se consideriamo la varietà botanica a cui io appartengo (var. leucomelan) i miei tratti morfologici sono più simili a quelli del Bidì (var. leucomelan) che alla popolazione Nord-Africana Jenah Rhetifa (var. caerulescens).
E poi?
Poi mi sono acclimatato alle condizioni climatiche del Nord Africa e lì ho vissuto per molto tempo, fino alla fine del XIX secolo. In questi luoghi sono cresciuto insieme ai miei fratelli ed alle mie sorelle, con cui oltre a condividere gli stessi tratti somatici, occupavamo anche gli stessi spazi e affrontavamo le stesse avversità climatiche. Siamo stati abituati a vivere con parsimonia: ci bastava poco, un goccio d’acqua ed un poco di stallatico.
Ora ci vuoi raccontare come sei arrivato in Italia e perché sei stato adottato?
È stato Nazareno Strampelli ad avviare le pratiche per la mia adozione, spinto dalla volontà dell’On.le Marchese Raffaele Cappelli (1848-1921) di offrire uno dei suoi fondi agricoli, alle attività sperimentali che Strampelli aveva appena avviato a Rieti presso la Cattedra Sperimentale di Granicoltura (1903-1906). Raffaele Cappelli, Deputato del Regno d’Italia dal 1878, diplomatico e per lungo tempo presidente della Società degli agricoltori italiani e dell’Istituto internazionale di agricoltura, nell’estate del 1906, aveva manifestato il suo interesse, prima all’insigne genetista e poi all’allora Ministro dell’Agricoltura, Francesco Coccu-Ortu. Egli desiderava che Strampelli fosse delegato alla direzione del nuovo campo sperimentale per promuovere il miglioramento della granicoltura del Tavoliere delle Puglie e rendere meno gravi i danni prodotti dalla siccità nel meridione d’Italia.
E fu accontentato?
Si, immediatamente. Nell’autunno dello stesso anno (1906), Strampelli impianta a Foggia 46 varietà di frumento, scelte fra le più precoci coltivate l’anno precedente a Rieti. Sfortunatamente, l’andamento climatico, particolarmente siccitoso di quella annata agraria, rese vano quel primo tentativo di selezione pianificato da Strampelli. A quel punto decide di cambiare strategia e di avviare un lungo lavoro di selezione sul grano duro partendo dai materiali genetici (=varietà locali e/o popolazioni antiche) provenienti dal dall’estero ed in particolare da quelle aree geografiche dove i grani si accontentavano di poco.
Stai dicendo che l’artefice della “Battaglia del grano”, colui che introdusse in Italia la tecnica dell’incrocio “artificiale”, si fece promotore di un inedito lavoro di selezione?
Proprio così. Fallito quel suo primo tentativo, Strampelli avviò un procedimento di “adozione internazionale” reclutando numerose varietà locali e popolazioni di grani dai Paesi in cui le condizioni climatiche aride e siccitose simili a quelle del Sud Italia, ed è così che io insieme a diverse altre popolazioni Nord-africane e Medio-orientali siamo giunti in Italia. Fortunatamente, all’epoca i tempi e le procedure burocratiche per le adozioni internazionali erano rapide e snelle, infatti, ci caricarono subito sulla prima imbarcazione e nel giro di pochi giorni arrivammo a destinazione.
Immagino che come la maggior parte delle storie anche il tuo inizio sia stato difficile.
Appena siamo arrivati, i grani teneri locali senza barbe (=reste) a cariosside bianca (= le Bianchette), ci presero in giro perché eravamo diversi, alti, robusti con i capelli e le barbe lunghe e nere; ma appena abbiamo iniziato a frequentare la scuola di Strampelli (=campo sperimentale) non abbiamo avuto più alcun tipo di problema. Per l’ammissione alla scuola abbiamo dovuto superare un test d’ingresso che è durato diversi anni, durante i quali siamo stati valutati per i nostri tratti somatici, il nostro rendimento e la nostra attitudine alla produzione di pane e/o pasta. Sfortunatamente, non tutti i miei fratelli e le mie sorelle lo hanno superato, non erano riusciti ad adattarsi al nuovo ambiente, per cui alla fine sono stati esclusi. Io invece mi sono trovavo subito molto bene, mi sono adattato ed alla fine ho dimostrato di essere molto più bravo degli altri compagni di classe (i.e. grani duri locali Saragolle, Carlantino, Zingariello). In tutte le condizioni ambientali riuscivo a primeggiare, il mio rendimento (=resa ad ettaro) era sempre il più alto di tutti. Strampelli se ne accorse, e con un accurato lavoro di selezione entro la mia popolazione di appartenenza mi scelse. Io ero il tipo n. 231/1915 delle selezioni genealogiche eseguite all’interno della popolazione Jenah Rhetifah a Foggia.
Quindi, per diversi anni sei stato un “numero” all’interno di un gruppo, non avevi un nome?
Appena giunti in Italia, per poter accedere al test d’ingresso, siamo stati schedati (=numerati) così da facilitare il lavoro di Strampelli ed il riconoscimento per la valutazione del nostro rendimento. Alla fine del ciclo di valutazione (=selezione), però sono stato “battezzato” con il nome di “grano Cappelli”. Questo è stato un chiaro segno di riconoscenza e ringraziamento che Strampelli ha voluto manifestare a quel marchese che gli aveva dato mezzi e fiducia per svolgere il suo lavoro a Foggia.
E poi racconta cosa è successo?
Subito dopo la mia selezione ed il mio “battesimo” in Italia è scoppiato il finimondo (i.e., la Prima Guerra Mondiale), non credo per colpa del mio arrivo in Puglia, ci dev’essere stato qualche altra ragione, che però io all’epoca non ho ben compreso. E così che la mia prima uscita in Capitanata, l’odierna provincia di Foggia e la consegna agli agricoltori risale al 1923, dopo la nascita nel 1919 dell’Istituto nazionale di genetica per la cerealicoltura di Roma e della Stazione Fitotecnica per le Puglie. Nel corso dello stesso anno il marchese Cappelli viene nominato Senatore del Regno d’Italia ed in memoria delle sue origini e del suo impegno, sono passato alla storia con il nome di “Senatore Cappelli”. La mia popolarità superò immediatamente anche le più ottimistiche previsioni, nel giro di pochissimi anni, infatti, la superficie coltivata in provincia di Foggia è passata dai 5.200 ha del 1926 agli 87.000 ha del 1932.
Un vero trionfo insomma
Il mio incredibile successo venne celebrato negli stessi anni dal dott. Antonio Pompa, Reggente della Cattedra ambulante di agricoltura di Foggia, in uno scritto dal titolo “il Trionfo di Cappelli” in cui sottolinea come “Nell’agone economico della Nazione la provincia di Foggia si presenta quest’anno (1932) con una produzione di 3 milioni e 300 mila quintali di grano di cui 2 milioni di quintali prodotti da una sola varietà di grano Strampelli: il “Senatore Cappelli”. Le razze dei duri locali sono state soppiantate in pochi anni, e la coltivazione del Cappelli ha varcato da tempo ormai i confini della Provincia di Foggia. Ne è indice la crescente richiesta di questo grano, per seme, da ogni parte d’Italia e fuori”.
Quindi non solo in Capitanata?
La voce si deve essere sparsa rapidamente anche nelle province limitrofe e poi in tutto il sud Italia finanche in Sardegna. In effetti, nel 1943, la superficie in provincia di Foggia raggiunse 180.000 ettari, mentre nel 1949, in Italia io da solo occupavo una superficie complessiva di 720.000 ettari (il 57% della superficie coltivata a grano duro), concentrati prevalentemente in Sicilia, Sardegna e Puglia. Negli anni ’50 io ero ancora la varietà di grano duro più coltivata in Italia ed ingenti quantità della mia semente venivano esportate all’estero dal Consorzio Agrario di Foggia in vari Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente (Spagna, Marocco, Algeria, Libia, Egitto, Siria, Israele, Turchia e Grecia).
Come ti sei spiegato questo enorme successo?
Oltre alla mia ampia adattabilità e rusticità è stata la bellezza della mia granella, grande, rossa e vitrea; l’alto tenore proteico ed il colore giallo della semola, a convincere sia gli agricoltori che i trasformatori, escludendo tutte le altre vecchie popolazioni locali, meno produttive, con semi piccoli, poco colorati e di consistenza più farinosa, poco adatti alla pastificazione. Il successo immediato, infatti, non poteva essere legato esclusivamente alle mie buone prestazioni agronomiche, l’apprezzamento per la qualità della mia granella e per i risultati della mia semola in pastificazione è stato l’elemento vincente per la mia rapida affermazione e per la mia crescete popolarità in Italia.
Vuoi dire che prima del tuo arrivo in Italia la Pasta aveva un altro sapore?
Non sono certo io a ricordarvi che l’Italia è il Paese delle paste alimentari più apprezzate in tutto il mondo e che, per secoli, l’approvvigionamento della materia prima, è stato in gran parte assicurato dalle importazioni di grano duro provenienti dalla Russia. I bastimenti carichi di grano partivano dal porto di Taganrog, una cittadina Russa sul Mare di Azov, alla volta di Napoli e di Imperia, carichi di questo pregiato grano che tutti i pastai italiani volevano accaparrarsi. Il motivo era legato al fatto che nel XVIII e XIX secolo la maggior parte dei grani duri coltivati in Italia, avevano una consistenza della granella semidura, farinosa, poco adatta alla trasformazione industriale. Solo in Capitanata, oltre alle Bianchette si producevano le Saragolle, varietà locali di grani duri di pregio molto richieste dalla industria pastaria napoletana, ma poco apprezzate dagli agricoltori per il loro scarso rendimento agronomico. Spesso queste due qualità di grano venivano usate in miscela tra loro e con altri grani di scarso valore. Il grano Taganrog dava la forza all’impasto ed il nerbo alla pasta, mentre le Saragolle il sapore ed il colore. Nel 1917, con la Rivoluzione d’ottobre in Russia, lo scenario mondiale degli scambi commerciali cambiò radicalmente, così anche quello dei grani e del Taganrog.
Allora dobbiamo dire meno male che sei arrivato tu?
Beh, modestia a parte, direi di si! Con il mio arrivo in Italia non c’è stato più bisogno di mescolare varietà diverse per ottenere una semola adatta alla preparazione della pasta; in più io ero riuscito a mettere d’accordo sia i pastai che gli agricoltori. Infatti, rispetto alle Saragolle ed ai grani duri locali di minore pregio, ero più adatto al clima caldo umido della Capitanata; ed ero anche di gran lunga più resistente alle malattie e all’allettamento che insieme alla mia maggiore precocità assicurava un rendimento maggiore e costante negli anni.
E così sei diventato il primo della classe, ma fino a quando?
Nonostante la mia grande affermazione, Strampelli non era completamente soddisfatto del risultato ottenuto, così nel 1926 rilasciò il Garigliano. Questo ulteriore varietà fu costituita da Strampelli con il metodo dell’ibridazione, incrociandomi con il Tripolino, anch’esso prodotto attraverso una selezione entro popolazione. Vorrei ricordare anche qui che l’incrocio era il metodo che Strampelli aveva già utilizzato con grande successo per la selezione dei grani teneri come l’Ardito, il Mentana, Damiano e Villa Glori. Tuttavia, nonostante questo tentativo e tanti altri intrapresi nei decenni successivi, né Strampelli, né tanto meno nessuno dei suoi allievi (i.e., Grifoni, Forlani, Dionigi, Maliani) riuscirono mai ad ottenere una varietà di grano duro in grado di superare le mie qualità pastificatorie sebbene alcune di esse erano leggermente più produttive.
E poi che fine hai fatto?
Dopo aver primeggiato ed ottenuto vittorie in Italia e all’estero, a partire dalla fine dagli anni ’60, piano piano, ho ceduto il posto alle varietà moderne molto più produttive di me ed anche più adatte alla produzione di pasta. E così un po’ come succede ai grandi cavalli da corsa, a fine carriera sono stato avviato all’attività di riproduttore ed utilizzato come progenitore in tanti programmi di miglioramento genetico. Ed oggi, circa l’80% delle varietà di grano duro commercializzate nel mondo hanno nel loro patrimonio genetico una certa percentuale del mio sangue (=DNA).
Mah, al supermercato ci sono ancora tanti prodotti con il nome “Senatore Cappelli”, come mai?
Perché, nonostante la drastica riduzione della superficie coltivata non sono mai scomparso del tutto. Per anni sono stato accudito, ripulito e mantenuto “in purezza” presso il CREA Centro di Ricerca Cerealicoltura e colture Industriali di Foggia, cercando di accontentare solo qualche piccolo agricoltore nostalgico. Poi a partire dagli anni ’90, ho assecondato prima il crescente interesse di alcuni pastai artigianali, che avevano manifestato nei miei confronti un amore incondizionato, e che prescindeva finanche dalle mie specifiche caratteristiche tecnologiche, ormai abbondantemente superate dalle nuove varietà e poi quella dei consumatori per la riscoperta dei “grani antichi”.
Benissimo, allora chi meglio di te mi può dire cosa sono i grani antichi?
Attualmente, nel linguaggio comune rappresentano una categoria commerciale di prodotti a base di “specie antiche” di grano appartenenti al genere Triticum (i.e., farro monococco, farro dicocco, farro spelta, grano turanico) oppure di “varietà obsolete” di grano duro e tenero, in genere a taglia alta, abbandonati per decenni per il loro scarso valore agronomico (i.e., Timilia, Russello, Saragolle, ma anche Bianchetta, Risciole, Gentilrosso, etc…) e che oggi attraverso numerose iniziative di carattere privato e pubblico (i.e., Programmi di Sviluppo Regionali e Bandi Nazionali) sono state recuperate, caratterizzare e valorizzate attraverso la produzione di prodotti trasformati di vario tipo. Null’altro.
Ma tu come te lo spieghi, tutto questo interesse?
È passato un secolo da quando io ho messo piede in Italia per la prima volta ed in tutto questo tempo il mondo è cambiato radicalmente, l’agricoltura non è più al centro della vita quotidiana del Paese come lo era in passato, sono cambiati i consumi alimentari, i luoghi in cui il cibo viene consumato ed i consumatori sono molto più attenti che in passato. Oggi sono molto più informati, leggono le etichette, controllano gli ingredienti, ed oltre al prezzo scelgono i prodotti in base all’origine geografica, al metodo di coltivazione, alle tecniche di lavorazione ed a tutti i servizi “aggiuntivi” offerti (i.e., riciclabilità della confezione; sistemi di tracciabilità della materia prima, tempi di cottura, modalità di consegna, etc…). Queste varie tipologie di consumatori, crescono ogni anno di più, e le loro scelte influenzano, giustamente, il mondo della produzione agro-alimentare che, altrettanto giustamente, le asseconda diversificando i prodotti e innovando i processi e i servizi ad essi connessi.
Solo questo o c’è dell’altro?
Inoltre, i consumatori hanno iniziato a “NON” comprare più semplicemente i prodotti, ma, piuttosto, le storie che questi stessi prodotti raccontano e rappresentano. La società contemporanea si è evoluta, è diventata “liquida”, instabile e la nascita dei nuovi social media ha permesso la diffusione “virale” del messaggio commerciale. Oggi, non c’è più bisogno di investimenti milionari per veicolare il messaggio commerciale attraverso i classici canali dell’informazione (giornali, riviste, televisione). Oggi, il produttore comunica immediatamente con il cliente, senza intermediari. Una piccola azienda agricola che decide di produrre pasta con il proprio grano, quasi sempre in “conto lavorazione”, non avendo proprie attrezzature per poterlo fare, è in grado di costruire, una storia, un racconto “emozionale” e di veicolarlo immediatamente attraverso i social media per catturare l’attenzione del consumatore. In questo contesto il racconto della storia dei grani antichi e/o dei vecchi metodi di lavorazione svolge un ruolo persuasivo molto forte nei confronti dei clienti che spesso prescinde dalle caratteristiche intrinseche del prodotto finale. Purtroppo, però, “in alcuni casi” a questa narrazione, si associano anche messaggi che tendono a delegittimare e/o a screditare le varietà moderne e la pasta industriale, quella per la quale siamo riconosciuti leader nel mondo, generando confusione e false credenze.
Ti riferisci alla contrapposizione varietà antiche e moderne? Ci vuoi chiarire meglio?
Si, esatto. Dal punto di vista tecnologico e di lavorabilità della materia prima le varietà moderne sono più performanti. Non c’è alcun dubbio. E che queste migliori performance tecnologiche dipendano dal miglioramento della qualità del glutine, è altrettanto assodato. La comunità scientifica ha anche chiarito che non c’è alcuna relazione causa-effetto tra la qualità del glutine delle varietà moderne e l’insorgenza delle patologie legate al glutine (i.e., celiachia, allergie, sensibilità non celiaca al frumento, etc…). Tra l’altro vorrei anche far notare che tra le varietà moderne c’è ne sono diverse che hanno un glutine debole, addirittura più debole del mio e di quello di tanti altri grani antichi; questo perché non c’è nessuna legame diretto tra la maggiore produttività dei grani moderni a taglia bassa e la tenacità del glutine. Sono due caratteri indipendenti, regolati da fattori genetici diversi. Così come non c’è alcuna evidenza scientifica circa la peggiore digeribilità dei prodotti ottenuti con le varietà a glutine tenace, rispetto a quelle con glutine debole. Da questo punto di vista gli studi scientifici hanno dimostrato che tra grani antichi e moderni c’è una “sostanziale equivalenza”.
Ma il valore nutrizionale dei grani antichi è maggiore?
Dal punto di vista nutrizionale e salutistico è importante chiarire che l’effetto della varietà sull’accumulo di fibre, vitamine, minerali ed alti composti che esercitano un’azione positiva sull’organismo umano è molto limitato, dal momento che la concentrazione di questi composti nella granella dipende molto dall’ambiente di coltivazione (ossia dal terreno e dalla modalità di coltivazione). Per di più il metodo di lavorazione ed in particolare di macinazione modifica in maniera determinante il valore nutrizionale del prodotto finale a prescindere che si tratti di varietà antica o moderna, dal momento che questi composti si depositano in grande quantità negli strati esterni (=crusca) della cariosside. Attenzione, però, ché negli stati esterni della granella dei cereali si concentrano anche composti ad azione “anti-nutrizionale” (i.e. fitati) che limitano e/o riducono la biodisponibilità dei minerali nell’organismo umano, rendendoli di fatto inefficaci. Per cui, così come per i fattori predisponenti la celiachia e/o le malattie legate al glutine anche per il valore nutrizionale, confrontando i grani antichi con quelli moderni, il risultato è di una “sostanziale equivalenza”.
Miti e false credenze, sono queste le cause della drastica riduzione dei consumi di pasta secca industriale in Italia?
Premesso che la pasta secca è “industriale” per definizione. Sin dalle sue origini, la produzione della pasta secca nasce in seguito all’introduzione di macchinari (i.e., gramola, torchio meccanico, presse) che, sebbene abbastanza semplici, permettevano di estrudere l’impasto nei formati più adatti al trasporto in poco tempo ed in grandi quantità.
Negli ultimi decenni, il consumo pro-capite di pasta in Italia si è ridotto di circa il 20%. Nel 1999 era di circa 28 kg oggi è di appena 23 chilogrammi. Una parte di questo decremento è legato certamente alla riduzione della spesa alimentare che da diversi anni si registra in tutta Europa, ma anche per l’aumento del consumo di prodotti sostitutivi della pasta, le cosiddette specialità alimentari (paste senza glutine, paste funzionali, paste di legumi, etc…). Tuttavia, un ruolo importante l’ho ha svolto e, purtroppo dico io, lo continua a svolgere anche la cattiva informazione che trova nel grano duro e nella pasta terreno fertile per veicolare messaggi ideologici e politici che nulla hanno a che vedere con le caratteristiche della materia prima. Senza renderci conto che così facendo ci facciamo male da soli, rischiando di far fallire una delle filiere più importanti e complete dell’agro-alimentare italiano, quella molitoria e pastaria. Il principale prodotto di questa filiera (i.e., la pasta), conosciuto in tutto il mondo, oltre a valorizzare tutto il grano duro prodotto in Italia, esercita un effetto traino anche per le esportazioni di altri importanti prodotti agricoli trasformati (i.e., salsa/passata di pomodoro, olio d’oliva, etc…).
A proposito di grano duro italiano, ma è vero che è il migliore del mondo?
Luce, sole e poca acqua sono certamente gli ingredienti ideali per ottenere un grano duro dalle qualità eccezionali, e l’Italia li ha tutti. Tuttavia, questi elementi non bastano. Per cui la migliore risposta a questa tua domanda è, “dipende”. La qualità, infatti, dipende oltre che “dove” si coltiva il grano, anche da “come” lo coltivo, ossia quali pratiche agronomiche adotto; e da “come” lo conservo; quest’ultimo è un aspetto fondamentale che al momento il consumatore trascura. Tutto questo significa che, non possiamo generalizzare l’intera produzione italiana di grano duro con un unico aggettivo, perché non è così; c’è quello buono, quello eccezionale, ma c’è anche quello medio e quello scadente. Purtroppo, in Italia essendo poco diffusa la pratica dello stoccaggio differenziato per classi qualitative, come invece accade nel Nord-America ed in Canada, dove le classi qualitative sono ben riconoscibili, ne consegue che la produzione di maggiore qualità viene ad essere confusa con quella di medio-bassa qualità, e generalizzando a seconda degli interlocutori (aziende agricole e/o industrie di trasformazione) la qualità della produzione italiana diventa la migliore o la peggiore del mondo.
E allora cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi anni? I supermercati saranno ancora pieni di grani antichi?
Probabilmente si, ci saranno ancora, così come ci saranno tantissimi altri nuovi prodotti frutto delle nuove conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche che man mano si renderanno disponibili. Se oggi un agricoltore trova vantaggio nel coltivare grani antichi perché questo gli permette di ottenere un profitto maggiore, in futuro probabilmente continuerà a farlo perché l’agricoltura è un’attività economica. Se un consumatore oggi trova gratificazione nello scegliere un prodotto a base di grani antichi, per motivi diversi, e se per questa scelta è disposto anche a pagare di più, in futuro probabilmente continuerà ad acquistarli perché di fatto si tratta di una scelta consapevole. E se un’industria di trasformazione (molino, pastificio, panificio,) oggi diversifica la propria offerta commerciale, con prodotti a base di grani antichi, per mantenere un vantaggio competitivo, probabilmente domani continuerà a farlo, perché si tratta di concorrenza e libero mercato. Tutto questo, però, a patto che restino prodotti “di nicchia”, altrimenti perderanno valore e saranno nuovamente abbandonati.
E invece le nuove varietà di grano duro come te le immagini in futuro?
Negli ultimi anni gli obiettivi del miglioramento genetico del grano duro sono diventati più numerosi e complessi perché fortemente legati ai cambiamenti climatici in atto ed alle mutate esigenze dei consumatori. Questo si ripercuote sul lavoro di selezione per cui agli obiettivi tradizionali della selezione varietale, resa e contenuto proteico, si sommano anche gli aspetti legati alla sostenibilità delle produzioni (resistenza ai patogeni ed efficienza d’uso dell’acqua e dell’azoto) e alle caratteristiche nutrizionali e salutistiche della granella (composizione in fibra, amido, micronutrienti, assenza di micotossine e di metalli pesanti). Purtroppo, la forte influenza ambientale e la dipendenza dei caratteri quanti-qualitativi del grano duro alle tecniche di coltivazione e all’andamento climatico, quest’ultimo imprevedibile ed in continuo cambiamento, rendono complesso il processo di selezione delle nuove varietà.
Che ruolo può svolgere la ricerca, nella selezione delle nuove varietà?
La ricerca può svolgere un ruolo determinante per aumentare la produttività del grano duro, soprattutto nelle aree tradizionalmente interessate alla sua coltivazione (Sud e Isole), mantenere alti gli standard qualitativi della materia prima e migliorare la resistenza alle principali malattie soprattutto nelle aree del Centro-Nord. Per fare questo è necessario:
1) Attivare un grande progetto di miglioramento genetico del grano duro italiano, capace di integrare e coordinare le attività dei principali soggetti, pubblici e privati, impegnati nelle attività di selezione varietale;
2) Implementare nel nuovo programma di miglioramento genetico tutte le tecnologie oggi mature e disponibili per rendere il processo di selezione rapido, efficiente ed efficace (i.e., speed breeding, selezione assistita con marcatori molecolari, selezione genomica, selezione fenomica o digitale, anche con utilizzo dell’intelligenza artificiale);
Le attività di selezione dovranno essere indirizzate allo sviluppo di varietà più produttive alle specifiche condizioni pedo-climatiche degli areali cerealicoli italiani e dovranno soddisfare le esigenze dei differenti sistemi agronomici adottati nelle varie regioni (i.e., varietà per l’agricoltura convenzionale, conservativa, biologica, etc..). A tal fine, è necessario sfruttare le tecnologie digitali, i sistemi di supporto alle decisioni ed i modelli di previsioni della crescita e dello sviluppo per “disegnare” le nuove varietà del futuro.
(Grazie a Pasquale De Vita, CREA, che si è prestato a interpretare il grano Cappelli)