Tre domande al prof. Paolo Inglese, Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Università di Palermo.
Come è andata questa estate?
Molto difficile per le nostre campagne, per la nostra agricoltura. Temperature massime mai registrate prima, accompagnate da una fortissima riduzione dell’umidità atmosferica relativa, tanto che quello che gli studiosi chiamano “vapor pressure deficit”, cioè la differenza tra la quantità di umidità effettivamente presente nell’aria e la quantità di umidità che l’aria potrebbe trattenere a saturazione, ha raggiunto valori talmente elevati da essere incompatibili con la capacità di molte specie vegetali di traspirare l’acqua nella misura necessaria a mantenere in vita i propri organi. Tante piante si sono letteralmente bruciate come fossero investite da un fuoco. Germogli e foglie bruciate, intere piante collassate, frutti cascolati o fermi nel loro sviluppo e scottati, fortissime defogliazioni.
Alcuni esempi?
Il ficodindia, ma non solo lui, ha maturato i suoi frutti molto precocemente e in poco tempo, soprattutto nelle zone dove il terreno è più sciolto e le temperature notturne più elevate. Per non parlare dell’olivo. Quest’anno il consumatore avrà la triste notizia di un prezzo non inferiore ai 10 euro per chilo d’olio. Sono anni che lo scriviamo, ma mai come quest’anno sarà chiara per tutti la crisi dell’olivicoltura italiana, capace di rispondere solo al 30% della domanda interna del Paese. Pochi frutti e bassa resa in olio che fanno coppia con impianti troppo vecchi.
Cosa succede?
È un fatto che nei primi anni 90, quando in tanti usavamo i misuratori di fotosintesi portatili che da un decennio consentivano di misurare l’attività delle piante, taravamo lo strumento intorno a 365 ppm di concentrazione di CO2 atmosferica; oggi, i nostri giovani ricercatori usano gli stessi strumenti tarandoli a 415 ppm, il 25% in più, in soli 30 anni. Cos’altro dovremmo aggiungere?