1) Quali sono le difficoltà che affronta un divulgatore?
Questi ultimi due anni sono stati un frullatore per chi fa il mio mestiere e hanno messo in luce tutte le difficoltà del riuscire a comunicare efficacemente la scienza. Ci siamo sempre detti che la scienza è un processo, che non dà certezze, che la conoscenza muta e quindi le scoperte vanno sempre messe nel contesto scientifico e storico, che anche gli scienziati sbagliano, eccetera. In questi due anni ci siamo trovati di fronte a una scienza che si costruiva giorno per giorno, con scoperte che potevano risultare contraddittorie, con un proliferare di esperti che dicevano la loro e un sistema mediatico incapace di gestire questa complessità.
I risultati li abbiamo visti tutti e se penso oggi alle difficoltà maggiori che incontro non penso al mio lavoro in sé, ma alla difficoltà di far capire a media e istituzioni che il mio lavoro serve anche a loro. Il pubblico lo ha capito. Durante la pandemia il seguito di chi, come me e molti altri più sul pezzo di me come Roberta Villa, ha provato a spiegare quotidianamente quel processo, è cresciuto e si è creato un rapporto di fiducia che è rimasto e si estende anche ad altri temi. In queste ultime settimane noi divulgatori abbiamo parlato molto di energia, di materie prime, di sicurezza alimentare, cercando di rispondere alle tante domande di chi ha capito che esistono figure che hanno il compito di far capire come stanno le cose quando si parla di scienza. Ecco, mi piacerebbe che lo capissero anche nelle redazioni e nelle istituzioni, nelle quali la figura del divulgatore è ancora un po’ al livello della particella di sodio nella pubblicità dell’acqua minerale.
2) Qual è lo stato della divulgazione agricola italiana?
Come dicevo, negli ultimi anni c’è stata una crescita generale della divulgazione, sia in termini di persone che ci si dedicano, sia soprattutto in termini di pubblico interessato. Questo cambiamento è avvenuto grazie a un grosso contributo dei social media e credo non sia un caso che coinvolga molti giovani, permettendo anche un certo svecchiamento dei dibattiti. Se, quando ho iniziato a fare questo mestiere ormai quindici anni fa, parlare di OGM e in generale di tecnologie applicate alla produzione di cibo significava buttarsi nella mischia e mettere in conto di prendersi dei mal di pancia notevoli, adesso la situazione è molto cambiata. Certo, ci sono sempre le frange più estremiste, da una parte e dall’altra, quelle che sono interessate a marcare il territorio più che a capire, discutere e scegliere, ma sono una minoranza, magari rumorosa, ma abbastanza riconoscibile e isolabile. La voglia di capire da parte di cittadini e consumatori e la voglia di spiegare e condividere da parte di ricercatori e agricoltori prevale e viene fuori. Ne abbiamo un esempio pratico ogni anno al Food&Science Festival che è nato come una scommessa con l’obiettivo decisamente ambizioso di “cambiare il racconto dell’agricoltura per renderlo più simile alla realtà” e mi sembra che pian piano ci stiamo riuscendo. Ecco, forse la cosa che mi sembra più rilevante di questo cambiamento è il fatto che gli agricoltori abbiano riconosciuto l’importanza della divulgazione e abbiano deciso di metterci la faccia per provare a contribuire al dibattito pubblico.
3) Quali a tuo parere le innovazioni agricole che meritano di essere divulgate?La crisi energetica, la carenza di materie prime e l’emergenza climatica hanno messo e metteranno l’agricoltura e l’allevamento di fronte alla necessità di cambiare e di farlo anche in fretta. Credo che sia quindi giunto il momento di discutere in maniera aperta, chiara e trasparente di quale futuro agricolo vogliamo per la nostra nazione in un’ottica globale. Quindi, più che focalizzarsi sulle singole innovazioni agricole, il ruolo di chi come me fa divulgazione in ambito agricolo credo sia quello di mediare questa discussione, provando a mettere assieme tutte le istanze. Dobbiamo tornare a parlare di genetica, così come bisogna parlare di riduzione delle emissioni e di politiche della ricerca. Non è facile, perché come dicevo prima, ci sono dibattiti che si sono molto radicalizzati, ma credo sia necessario e forse anche inevitabile se vogliamo provare a guidare il cambiamento e non solo subirlo.