L’età segreta della premiata autrice spagnola Eugenia Rico (in Italia grazie a Elliot Edizioni, 2020), in apparenza è una storia d’amore, ma quello che il romanzo mette in scena è un gioco di ruolo tra la realtà e la nostra idea di realtà. Gioco che potrebbe far pensare al confine tra normalità e follia, ma che invece si rivela un passaggio di maturazione, liberatorio e salvifico.
Una donna di circa 40 anni parte da sola con la sua macchina verso nord, vuole raggiungere Nauchipàn, una città antica che è esistita prima di ogni altra cosa, dove tutto ha avuto origine. A una stazione di servizio vede un ragazzo biondo, più giovane di lei. Anche lui vuole andare a Nauchipàn. Così, i due trascorrono lunghe e torride giornate in macchina, con i finestrini tirati giù, a macinare chilometri, cantare, bere coca cola. Spesso lui prende delle deviazioni verso sud e poi torna indietro, verso nord. Sarà perché non vogliono scendere dalla macchina? La notte lei dorme in hotel e lui in tenda, altre volte dormono insieme nella tenda. A volte non mangiano per giorni. Fanno l’amore (non subito, ci mettono un po’). Parlano moltissimo, si raccontano delle loro precedenti vite. Lei ha appena saputo di non dover morire, ed è con questa notizia in mano, “non hai più motivo di morire”, che ha iniziato il suo viaggio: le avevano fatto una diagnosi medica sbagliata. Ora davanti a sé ha di nuovo tempo, un tempo segreto, perché, come tutti, non sa quanto potrà vivere ancora, ma questa “età segreta” è l’unica età vera, dice la protagonista. Lui non dice molto di sé, solo che vuole andare in questa città dove il tempo si è fermato.
I due, chiaramente, non sono certi che la loro meta esista davvero, forse l’hanno inventata, e non sanno se quello che c’è tra loro è amore, e sanno che tutto quello che oggi è vivo può al tempo stesso già non essere più reale. Allora perché non vogliono scendere dalla macchina se tutto è sempre in prossimità di una smentita?

I protagonisti, che sembrano due adolescenti allo sbando, che si sono lasciati alle spalle famiglie, lavori, responsabilità, certezze, non sono regrediti, hanno invece raggiunto una sapienza superiore: cosa importa se quello che mi fa stare bene potrebbe non essere reale? La realtà d’altronde non fa troppo male? E la realtà vissuta, quella passata, non è pure quella solo una nostra idea di come erano le cose, di come dovevano essere, di come volevamo che fossero?
La protagonista porta fino in fondo questo suo nuovo sguardo, e sa che se anche il viaggio con lui dovesse finire non scenderà più dalla macchina. Una scelta di liberà, ma non senza consapevolezza del bagaglio del passato: durante il viaggio la donna ripercorre la sua storia, il marito, i tradimenti, la malattia, l’ospedale, la maternità mancata, il rapporto con sua madre. Solo che ora, dopo che ha sfiorato la morte, non si guarda indietro, perché, dice: “un giorno ti senti vent’anni più giovane e ti rimetti in strada, cercando di recuperare il tempo perduto”.
Il romanzo è strutturato per brevi capitoli, a volte brevissimi, soste psicologiche oltre che fisiche del viaggio, raccontate – con la voce della confessione, del memoir – in prima persona con alcuni passaggi iniziali in terza, a sottolineare il cambiamento da una sé all’altra.