Nel 1962, Adriano Buzzati-Traverso riusce a costituire a Napoli il Ligb (laboratorio internazionale genetica e biofisica). Un istituto d’eccellenza con le seguenti caratteristiche: rifiuto dello schema gerarchico piramidale, tipico degli istituti universitari italiani; ricercatori assunti o dimessi in base al parere di una commissione composta da consulenti scientifici esterni (solo un quarto erano italiani); internazionalità e buoni stipendi, così da essere competitivi e attrarre ricercatori dall’esterno; tanti studi innovativi.
Per qualche anno l’Italia sembra intelligente (per citare il bel libro di Francesco Cassata), poi il laboratorio collassa, e dopo un’occupazione politica si spegne, soffocato da diverse pressioni, quella marxista (la genetica è una scienza borghese), l’antiamericanismo (no a flirt con gli imperialisti). Appunto, dinamiche consuete, l’innovazione frenata da parole, orpelli, dichiarazioni scoraggianti di politici e opinion maker del tempo, dalla difficoltà a collaborare al di fuori dei rispettivi orticelli. Nella sostanza, finanziamenti che scarseggiano. Sempre lo stesso immaginario: un paese senza domani, con un passato che non passa. Intanto abbiamo perso e perdiamo terreno in quelle discipline promettenti (biologia, genetica, fisica, fisica nucleare, chimica, ingegneria, epigenetica, microbiologia) senza le quali non si fabbrica il futuro.
Che fare?
Tempo fa una mostra “Benzine, energie per la tua mente “ sottolineava alcune chiavi culturali indispensabili per l’innovazione: l’arte, cioè la capacità di vedere in modo nuovo e di immaginare qualcosa di nuovo; le idee, la vera moneta del nuovo mondo; la creatività, ovvero la capacità di produrre idee originali; gli altri, quindi la collaborazione con le altre persone; il nuovo, cioè la capacità di capire, adeguarsi e guidare i cambiamenti; saper imparare, vale a dire la voglia e gli strumenti per continuare a imparare o a usare quanto già imparato in situazioni nuove; la passione, cioè la capacità di motivarsi da soli per riuscire sempre meglio in vista di obiettivi più grandi del nostro interesse personale. Credo che questo elenco possa cominciare a funzionare se nel nostro paese saremo capaci di utilizzare dei nuovi strumenti analitici.
Dobbiamo capire il mondo, vero, ma anche evitare i bias cognitivi, tipici del nostro tempo. Se lo percepiamo meglio, poi lo rappresentiamo con maggiore esattezza. Cultura è capacità di conoscere e di misurare. Detta così sembra facile. Ci vuole un metodo. James R. Flynn (famoso per l’effetto Flynn, ovvero l’aumento del QI in tutto il mondo) scrive: “Alcuni studiosi, che hanno scritto diffusamente di argomenti controversi come l’etica, la politica, la scienza, la teoria dell’intelligenza, economia ecc, sembrano offrire un metodo d’analisi. Si tratta solo di chiacchiere destinate al fallimento: vengono presentati come validi strumenti di analisi, ma sono in realtà lupi travestiti d’agnelli. Io chiamo questi falsi concetti ‘anti chiavi’, perché ci scoraggiano dal ricorso all’analisi critica, per esempio ci portano a denigrare la scienza per l’incapacità di coloro che utilizzano tali strumenti concettuali di comprenderla correttamente”. Flynn propone 14 concetti chiavi, tra cui: mercati, percentuale, selezione naturale, gruppo di controllo, fallacia naturalistica, effetto carisma, placebo e cinque antichiavi: progetto intelligente, relativismo, contro natura ecc. Flynn non ha dubbi: se si vuole fare cultura, esaminare il mondo, innovare e fabbricare il futuro bisogna sapere maneggiare le chiavi (biologia, sociologia, logica, fisica) e respingere le antichiavi. Sarebbe interessante, penso, mentre me ne torno al festival letterario mettere un’introduzione alla conoscenza, un laboratorio/museo itinerante (stabile nelle sedi decisionali e nelle redazioni culturali) che incoraggi l’uso delle chiavi: il futuro ha serrature complicate e contro intuitive, in fondo, sarà una lotta contro noi stessi.