Marzo 1986: uno degli scandali alimentari più gravi e seri, quello del metanolo, 153 persone intossicate e 19 morte e 15 con patologie gravi, come la cecità. Cosa è successo? Com’era il nostro vino prima dello scandalo e com’è diventato dopo?
Prima di tutto, l’oggetto dello scandalo, il metanolo: si ottiene in maniera naturale dalla fermentazione dell’uva e quantità esigue di esso sono quindi considerate normali, anzi consentite dalla legge. Ma una dose eccessiva può rivelarsi letale. È il marzo nel 1986: comincia una vicenda giudiziaria molto lunga e travagliata, come lo sono spesso in Italia, e le famiglie delle vittime non hanno ancora ottenuto completa giustizia, anche perché i responsabili si sono dichiarati fin da subito nullatenenti, avendo poi chiuso l’attività della cantina, e il maggiore indiziato è deceduto nel 2013.
Ricostruiamo la vicenda anche tramite la figura di Enzo Binotto (e grazie a Gianni Tadiotto, enologo di Della Toffola S.pa., Graziana Troisi e Giovanni Carullo)
Enzo faceva il tornitore, lo chiamavano “occhi di gatto” perché il suo era un lavoro di precisione e lui aveva una vista perfetta. Il 3 marzo, durante una cena di famiglia, bevve un paio di bicchieri di vino acquistato dalla cognata all’Esselunga. Racconta che la moglie aprendo il vino disse “ma che odore c’ha sto vino qua?!” Fortunatamente, lei, non lo bevve. Enzo invece sì, e cominciò da subito a sentirsi poco bene. Il giorno successivo, andando al lavoro, si fermò lungo la strada per pulire i vetri della macchina perché gli sembravano appannati. L’ultima immagine che ricorda è quella dell’orologio nella sua officina: le ore 9.15 del mattino. Da quel momento in poi divenne cieco per sempre. Aveva 39 anni.
Enzo è una delle 15 persone rimaste non vedenti. In tutto, ricordiamolo ancora, ci furono 153 di intossicati e 19 persone decedute. Tra l’altro, i primi morti vennero etichettati dalla stampa come alcolisti. Solo dopo accurate indagini da parte dei Carabinieri, si capì che si trattava di intossicazione da vino, e così si cominciò a risalire la filiera ed eccoci alla porzione avvelenata: un vino economico da tavola venduto al supermercato.
Le bottiglie avvelenate provenivano da una cantina della ditta Ciravegna di Narzole in provincia di Cuneo, qui al vino erano state aggiunte dosi elevatissime di metanolo per alzare la gradazione alcolica, ignorandone la tossicità per l’organismo.
Annus horribilis dicevamo, i morti, i feriti gravi e gli intossicati, i consumi, ovvio, calarono drasticamente. Tuttavia, a seguito dello scandalo, il Governo assunse una serie di provvedimenti dapprima d’urgenza, poi a lungo termine, destinati a rendere più efficace l’azione di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari.
Nella sostanza, lo Stato si adoperò per evitare il rischio di immissione sul mercato di vini adulterati con metanolo, si istituì l’anagrafe vitivinicola su base regionale, destinata a raccogliere per ciascuna delle imprese che producevano uve, mosti, mosti concentrati, vini e derivati, i dati relativi alle rispettive attività. Vennero potenziati, inoltre, i servizi di controllo aumentando gli organici territoriali, come ad esempio i NAS, e stabiliti nuovi range di quantitativi di metanolo ammessi nella produzione vitivinicola.
Un cambio di passo: si può dire che lo scandalo del metanolo rappresentò uno spartiacque per il settore del vino italiano. Da una parte, i consumi pro-capite scesero drasticamente e l’attenzione di operatori e consumatori si concentrò sul tema della sicurezza alimentare. Quindi dapprima calò la produzione di vini da tavola, ma nel tempo cominciò la produzione di vini a qualità controllata (DOC e IGT). Superato il periodo di crisi, ci si rese conto che lo scandalo poteva essere un’occasione per tanti viticoltori che lavoravano con onestà e professionalità. Puntando su qualità, innovazione e valorizzazione del territorio, invece che segnare la fine del vino italiano, lo scandalo del metanolo rappresentò per certi versi un rinascimento.
Insomma, anche la nostra scuola enologica migliorò. Dopo i primi anni di inevitabile riduzione delle esportazioni, a partire degli anni ’90 ci fu una crescita continua delle vendite all’estero (+575% in 30 anni) dunque, un volume di affari superiore al doppio di quello del 1986. Fu una straordinaria metafora del passaggio, ancora in corso non solo nel vino, ma in tutto il sistema produttivo italiano, da un’economia basata sulla quantità ad un’economia che punta invece su qualità e valore.
Per saperne di più: https://lafillossera.com/2020/03/17/metanolo-lo-scandalo-che-cambio-per-sempre-la-storia-del-vino-italiano/ehttps://www.ilpost.it/antoniopascale/2021/06/07/labc-della-viticoltura/