Cosa è stato scoperto a Pompei? Alcuni anni fa un gruppo di archeologi dell’Università di Cincinnati (Ohio, Stati Uniti) ha studiato una specifica area di Pompei la cui fondazione è stata datata al VI secolo a.C. Lo
studio si è concentrato sui consumi abituali di cibo di una ristretta area urbana che non accoglieva esclusivamente ricchi o poveri, ma sembrava piuttosto una zona mista, con case abitate da persone benestanti e altre appartenenti a un ceto decisamente più basso. L’indagine archeologica ha portato alla luce abitazioni, esercizi commerciali e osterie dove si vendevano cibi e bevande.
Su cosa si sono focalizzati gli archeologi? Sulle latrine, le fogne e i pozzi neri che erano posizionati dietro i banchi di vendita dei negozi e delle taverne: gli scavi hanno restituito avanzi di cibo mineralizzati o carbonizzati. Lo studio sui materiali provenienti dalle cloache, invece, ha permesso di riconoscere una grande quantità di resti di alimenti lavorati, specialmente cereali.
Dalle cloache sono venuti fuori diversi alimenti che testimoniano diversi consumi. Gli archeologi hanno notato una chiara distinzione socio-economica tra le attività e le abitudini di consumo di ciascuna proprietà mettendo in evidenza che anche tra vicini c’erano dislivelli economici: accanto ai meno costosi cereali, frutta, noci, olive, lenticchie, pesce locale e uova, sono state rintracciate insieme alle più dispendiose carni e pesce sotto sale proveniente dalla Spagna. Ma attenzione, in quel quartiere di Pompei, tra le fogne i ricercatori hanno individuato un’ampia varietà di cibi importati dall’estero, in particolare fenicotteri e perfino un osso della coscia di giraffa.
La carne di giraffa, una rarità? Che la carne di giraffa possa apparire, di primo acchito,
come una rarità, una vetta del cibo esotico potrebbe essere evidenziato dal fatto che, fino a oggi, questo sembra costituire l’unico ritrovamento del genere negli scavi archeologici relativi all’Italia romana. Il reperto non è solo, però, una testimonianza della ricchezza delle importazioni di animali esotici a scopo alimentare ma anche della varietà della dieta dei cittadini romani che, secondo gli esperti, non apparteneva solo all’élite.
Accanto alla giraffa ci sono delle spezie. Sono state trovate, inoltre, tracce di spezie esotiche, alcune delle quali provenienti dall’Indonesia e risalenti addirittura al IV secolo a. C. Si tratta di scoperte particolarmente interessanti perché permettono di gettare nuova luce su molti aspetti della vita quotidiana di quel periodo. Gli archeologi che hanno effettuato lo studio erano interessati a conoscere, attraverso i consumi alimentari, la realtà economica e la qualità della vita dei cittadini di Pompei e, indirettamente, anche delle altre città dell’Impero romano.
C’era un commercio vivo con l’Oceano Indiano. L’immagine tradizionale di una massa di poveracci affamati che girovagava per le strade alla ricerca di qualsiasi scarto di cibo non corrisponde per nulla alla realtà, o quanto meno quella di Pompei. Questo nuovo scenario sociale ha posto ai ricercatori una gran quantità di interrogativi ai quali non è stato facile dare risposte definitive. Innanzitutto, lungo quali direttrici erano trasportate le spezie che dall’Indonesia e dall’Estremo Oriente giungevano a Pompei già nel IV secolo a. C.? Al tempo in cui visse Plinio il Vecchio, tra l’Indonesia e la costa orientale dell’Africa c’erano già intensi traffici commerciali, in particolare tra l’isola di Giava e Sumatra e l’odierna Etiopia, la Tanzania e i porti egizi del Mar Rosso. Gli archeologi americani che hanno datato la presenza delle spezie al IV secolo a.C., hanno concluso che questo commercio che si svolgeva attraverso l’Oceano Indiano non era affatto occasionale (data la quantità di spezie trovate) ma si doveva trattare di un commercio continuo e ben organizzato, precedente di almeno quattro secoli al tempo
Ma alla fine, La giraffa? I Greci e i Romani la consideravano un mostruoso ibrido a metà tra un cammello e un leopardo, la chiamavano camelopardalis. Stando ai testi letterari sarebbe stata esibita al pubblico per la prima volta a Roma nel 46 a.C., durante uno dei Trionfi da Giulio Cesare: la data non sembra tuttavia essere del tutto attendibile. È noto, infatti, che gli Egizi e i Cirenaici, già prima della conquista romana, commerciavano questi e altri animali africani che erano venduti in molti porti dell’Europa mediterranea. La giraffa è il più alto erbivoro esistente (la sua altezza raggiunge i sei metri e il suo peso può superare la tonnellata). Duemila anni fa il suo habitat era molto più ampio di quello attuale: abitava una regione che si estendeva dal Mali al Kenia, dal Congo alla Tanzania e al Sudan. È verosimile che il commercio di quest’animale avvenisse via mare lungo le coste africane dell’Oceano Indiano e del Mar Rosso; qui le giraffe venivano imbarcate su navi e trasportate fino in Egitto dove altre imbarcazioni, seguendo il corso del Nilo, le portavano ad Alessandria. Da qui ripartivano su altri legni per le diverse mete del Mediterraneo.
Ma chi si mangiava la giraffa? Non certo i ricchi. Gli archeologi americani hanno posto l’accento sul fatto che, secondo loro, il consumo della carne di giraffa non facesse parte del menù dell’élite, che si alimenta va soprattutto di pesce e carne bianca, ma piuttosto di quello dei ceti popolari e meno abbienti. Quest’osservazione potrebbe trovare una conferma indiretta in Apicio che, nel suo libro di ricette destinate proprio all’élite romana, non cita mai la carne di giraffa tra le pietanze delle sue creazioni gastronomiche. Malgrado ciò, le scoperte archeologiche confermano che è possibile concludere che molto probabilmente la carne di quest’animale sia stata abbastanza presente nei mercati popolari.
Il commercio delle giraffe pone però numerosi problemi. Non esistono né fonti iconografiche, né fonti letterarie che confermano il trasporto di quest’animale e il consumo di questa carne in Italia. Inoltre, se la conclusione cui sono giunti gli studiosi americani è corretta, si deve dedurre che il prezzo della carne di quest’animale doveva essere accessibile ai ceti popolari. Non è possibile immaginare quindi che le navi trasportassero dall’Africa una sola giraffa per volta, perché non sarebbe stato un commercio economicamente conveniente. Questi animali sono molto alti, pesanti e hanno bisogno di non meno di una quarantina di chili di foglie al giorno per la loro alimentazione. Per trasportare, per esempio, solo cinque giraffe sarebbe stato necessario imbarcare molte tonnellate di cibo e acqua. In altre parole, si sta parlando di navi onerarie grandi, anzi, di grandissime dimensioni delle quali, però, non c’è alcuna descrizione o rappresentazione in dipinti o in bassorilievi.
E allora questo commercio non è mai avvenuto? Per rispondere a queste domande è necessario inquadrare l’argomento in un diverso contesto. Le navi romane si misuravano in anfore: le imbarcazioni comuni, quelle cioè di piccola stazza, venivano indicate con il termine di mille anfore; altre – le mirianfores – arrivavano fino a diecimila anfore. Se si calcola che un’anfora, che era utilizzata come contenitore di olio, vino, grano o altro, pesava in media dai 30 ai 50 chili, ne deriva che una nave di diecimila anfore trasportava più o meno dalle 300 alle 500 tonnellate. Dovevano dunque possedere una stazza quasi moderna! Anche se non sono stati ancora scoperti dipinti o riproduzioni realistiche di queste imbarcazioni, è noto che la marineria romana aveva realizzato navi imponenti come quella che trasportò l’obelisco egizio, oggi in piazza San Pietro a Roma. Per zavorrarla era stato necessario utilizzare ben 250mila quintali di lenticchie! Le prove archeologiche, delle quali si è appena detto, testimoniano che quest’animale era cibo nelle osterie (e forse preparato anche nelle cucine delle abitazioni). La sua presenza è inoltre una prova indiretta dell’esistenza di navi onerarie di grandi dimensioni che attraversavano il Mediterraneo. E questo perché se animali di tali dimensioni giungevano in Italia.
(tratto da Elio Cadelo, Piante americane (e non solo) nella Roma imperiale. I commerci transoceanici dei Romani. Ringraziamo l’editore All Around per la concessione)