Secondo un sondaggio condotto in otto Paesi europei il 39% – ci dice Rugero Rollini, chimico e divulgatore – delle persone vorrebbe vivere in un mondo senza sostanze chimiche. Che è chiaramente una cosa impossibile. Tutto è fatto di sostanze chimiche, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo… noi stessi siamo dei complicati reattori chimici ambulanti. Poi, scavando, si scopre che questa affermazione ha in realtà un non detto, un sottinteso. Quella percentuale di europei probabilmente vorrebbe vivere in un mondo senza sostanze chimiche di sintesi.
Che è un po’ diverso. Comunque, grave, ma non così grave. La vita quotidianità sarebbe impossibile senza le sostanze chimiche di sintesi. Non sarebbe nemmeno possibile leggere queste parole in questo momento dal tablet, cellulare o computer che stiamo usando. Di fatto, ho scritto il libro per provare a ricucire un rapporto un po’ strappato tra le persone e la disciplina che amo: la chimica. Ho cercato di farlo mostrando come la chimica ci circondi e come conoscerla e padroneggiarla, anche solo superficialmente, ci possa aiutare a vivere meglio, prendere meno fregature e – in generale- stare meglio in casa nostra. Quello che affligge il cittadino è purtroppo di naturalità. Esiste un’euristica, una scorciatoia mentale, che prende il nome di natual-is-better: naturale è meglio e la usiamo tutti, chi più chi meno, quando si tratta di fare delle scelte. Un po’ invece è colpa dell’industria chimica. Nel secolo scorso ci ha dato non pochi motivi di dubitare del suo operato: Seveso, Bhopal, la talidomide… Le cose sono cambiate profondamente, ma il rapporto di fiducia con la cittadinanza si è incrinato e per ricostruirlo, secondo me, si deve partire da una sincera e sentita ammissione di colpa. Da lì si può spiegare cos’è cambiato e perché oggi si lavora diversamente: difatti, il cambio di mentalità più significativo si è avuto con l’introduzione dei principi della green chemistry negli anni Novanta. È proprio un nuovo modo di pensare il “fare chimica”, che cerca di ridurre a monte, in fase di progettazione, i possibili danni dell’industria. Riduzione, eliminazione e scelta accurata dei solventi; condizioni di reazione meno energivore e più sicure; Biodegradabilità e sicurezza dei prodotti; Riduzione al numero minimo indispensabile dei passaggi… Insomma, una progettazione lungimirante, che prima – parliamoci chiaramente – mancava. In tutto questo si inseriscono i controlli e le regolamentazioni nazionali e internazionali sempre più puntali e stringenti. L’Europa, con enti come EFSA, ECHA, EMA è d’esempio in tutto il mondo.