Già sarebbe interessante capire se siamo padroni di noi stessi: se la nostra volontà è tutto o è poca cosa, pensate riflettere sul concetto di sovranità in senso ampio: che sia economica o alimentare, è un’impresa ardua.
Pensate al concetto di filiera corta che ci regala perlomeno la soddisfazione di maggior controllo e maggior vicinanza tra produttore e consumatore, meno sprechi e più bontà: insomma più sovrani anche solo in casa nostra.
Eppure, se prendiamo come riferimento il famoso e ineffabile contadino nostro amico, che a differenza dei contadini degli altri nostri amici è più bravo e fa prodotti migliori solo perché coltiva un pezzo di terra vicino a casa nostra, ebbene quel contadino nostro amico non è pienamente sovrano: anche lui deve tener conto di una ragnatela di interessi.
Perché per quanto è corta la filiera, è lunga la catena globale. Come dire, la filiera corta contiene al suo interno una catena molto lunga: aggrovigliata, sembra un batuffolo, ma è lunghissima. I concimi, gli agrofarmaci (sia quelli bio sia quelli convenzionali), le macchine utilizzate per arare, erpicare, seminare, spandere il letame, raccogliere ecc., sono infatti prodotti globali. Se smontiamo una macchina, se verifichiamo i prodotti contenuti in un concime o esaminiamo la tecnologia grazie alla quale una molecola è più attiva contro un patogeno e innocua per noi, dunque più sostenibile, ci accorgeremo delle migliaia di persone che lavorano ogni giorno affinché il contadino vicino casa nostra produca il cibo di cui poi noi andiamo orgogliosi.
Il fatto è che il concetto di sovranità è ambiguo. Certo, ha natali nobili. Nasce dal tentativo di fare rete, di dar forza agli esclusi, di far leva sulle esperienze dei singoli per valorizzarle. Significa, in origine, organizzazione dal basso, costruire e condividere, il sano botton up invece che il solito e indigesto top down.
Ma anche i concetti nobili poi si sporcano. Alla fine, fatti i conti, la sovranità alimentare è diventato un concetto buono solo per nobilitare l’operato di alcune grandi organizzazioni agricole e culturali. Un modo per vivere le contraddizioni senza mai nominarle. Vuoi la filiera corta? Sì, certo, ma poi desideri e lotti per portare le tue bottiglie di vino, pregiato o meno, oltre oceano proprio nello stesso momento in cui contesti le pere argentine – perché fateci caso la distanza che c’è tra le Langhe e Santiago del Cile è la stessa che c’è tra Santiago del Cile e le Langhe, e tuttavia noi puntiamo il dito solo contro la distanza che ricoprono le pere argentine quando arrivano fin qui. Cadiamo in un mutismo selettivo quando si tratta del nostro vino che parte per Santiago del Cile.
Che peccato, si è partiti da un concetto nobile e si è finito per parlare dei batteri di casa nostra, grazie ai quali possiamo fare formaggi più buoni, perché quelli di casa nostra sono certamente i migliori in assoluto – non tenendo conto tra l’altro che un batterio misura pochi micron e la differenza tra un batterio che sta a sinistra di un fiume e quello a destra dello stesso fiume è enorme: come dalla Terra a Plutone.
Capite bene che se i batteri altrui rubano il lavoro a quelli nostrani (e li preferiamo perché così facendo ci sentiamo più sovrani), poi concettualmente siamo più propensi a mettere barriere a quelli che stanno fuori il nostro orto, migranti o meno che siano, perché la loro presenza abbassa il nostro tasso di sovranità.
E allora? Allora la sovranità è bella, basta che non ci renda ciechi: c’è una ragnatela attorno a noi, e non solo, anche noi siamo un filo di una ragnatela più grande. Se rinunciamo ad analizzare i fili, non siamo capaci di rendere i singoli pezzi più sostenibili e di migliorare l’insieme, e così facendo gridiamo di voler essere sovrani quando poi ciechi alla complessità di non più sovrani nemmeno a casa nostra, come tra l’altro sosteneva Sigmund Freud.