All’inizio non facevo la salsa, finché un bel giorno: devo tutto ad Antonio Latini, quello che oggi chiameremmo chef ma che all’epoca era il capocuoco alla corte degli Aragonesi a Napoli: un giorno, per rendere più sapide le pietanze che presentava a corte, Latini si è inventato col pomodoro una salsa che, in onore degli spagnoli, ha chiamato proprio salsa alla spagnola. È stato questo il primo prodotto a vedere l’impiego dei pomodori in cucina – peraltro inserito da Antonio Latini all’interno di un libro pubblicato alla fine del ‘600 e da lui prodotto. Insomma, il pomodoro per uso da cucina nasce così, dall’intuizione di un uomo.
E poi: occorre fare un piccolo passo indietro e tornare a Firenze, alla Corte dei Medici. Si può dire che è da lì che ho preso due strade diverse: una che andava a Nord (verso Parma e Piacenza), l’altra in direzione Sud (soprattutto verso Napoli e la Campania in generale). E ogni volta mi sono adattato alle condizioni pedoclimatiche del luogo in cui arrivavo. I miei fratelli parmigiani e piacentini, per esempio, hanno trovato condizioni di vita eccellenti in quanto a fertilità del terreno, per cui i miei frutti erano grandi, belli e rossi; al sud, invece, la situazione era un po’ diversa: terreni più poveri e più aridi, quindi bacche più piccole che non richiedevano molta acqua e si adattavano alle condizioni di maggiore siccità. Credo sia stata questa la prima grande divergenza tra i miei fratelli del nord e del sud, e da qui poi sono nati i diversi usi alimentari che la gente ha fatto di me.
La strada verso Napoli: Al di là della prima salsa di Antonio Latini, è in Campania e soprattutto a Napoli che inizio ad essere utilizzato. Ero un prodotto non richiesto dal mercato perché considerato la parte povera della dieta, così la maggior parte dei cuochi del tempo mi utilizzava per rendere più sapidi i piatti destinati a una popolazione che non poteva permettersi ingredienti ricchi – ad esempio gli oli, sia animali che vegetali. Il primo a sperimentare questo mio utilizzo è Vincenzo Corrado, un cuoco e un abate che, in quanto religioso, voleva cercare di rendere meno costosi e più appetibili i piatti destinati alla povera gente.
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Mi fa diventare un immigrato di successo: Il momento di svolta è il 1773. Vincenzo Corrado pubblica un ricettario intitolato “Il cuoco Galante” e tra i numerosi piatti descritti – dovevano essere più di 40 – io compaio più volte in forma di pomodori ripieni e salse varie. Direi che è da quel momento che la mia storia cambia: vengo riconosciuto come un elemento fondamentale di quella che sarà poi la famosa dieta mediterranea e un punto cardine del Made in Italy. Insomma, è a partire dalla fine del ‘700 che il mio mondo cambia ed è alla fine dell’800, subito dopo l’Unità d’Italia, che la mia diventa una storia assolutamente rivoluzionaria. Comunque, a raccogliere il patrimonio lasciato dai Borboni è stato Francesco Cirio, un piemontese che ha dimostrato grandi capacità organizzative e incredibile lungimiranza realizzando per primo che l’Unità d’Italia poteva essere una risorsa e che doveva essere sfruttata. Nel 1910, in occasione dell’inaugurazione a Torino di un monumento a lui dedicato, un giornalista riportava la notizia definendo Francesco Cirio un uomo a cui nessuno aveva insegnato niente, che non aveva mai letto un libro né studiato alcunché e che pure era, semplicemente e nonostante tutto, un visionario. È per questo che ha fatto tutto quello che ha fatto. Ha inventato la delocalizzazione, spostando le sue aziende dal nord al sud; la logistica, concentrando in un unico punto tutte le sue attività e raccogliendo i prodotti che arrivavano da varie parti d’Italia; e la tracciabilità, perché è stato il primo che, per evitare frodi e rendere immediatamente visibile un prodotto, ha pensato di inscatolare pomodori interi – quindi tracciabile perché nella scatola doveva esserci solo e soltanto il pomodoro. Non credo di esagerare nel dire che Francesca Cirio è stato una rivoluzione. È grazie a lui che io sono diventato re di un mondo che cominciava appena a svilupparsi.
Il re pomodoro che ha unito Nord e Sud: Ho contribuito in modo sostanziale all’industrializzazione dell’Italia – e del Sud soprattutto -, più di tutte le industrie pesanti dislocate sul territorio negli anni. Se il meridione ha smesso di essere un’area prettamente agricola, insomma, credo che in larga parte lo si deve a me e a tutto l’indotto che grazie a me è stato generato. A Cirio si deve l’invenzione del pomodoro intero in scatola – si trattava di un pomodorino cherry type che nasceva dalle prime bacche della Sicilia, che erano piuttosto piccole, e che può essere considerato capostipite e antenato dei confratelli piccoli e tanto celebrati prodotti in tempi più recenti da Israele oltre che dalla Sicilia – e da questo inscatolamento è dipesa la generazione di un indotto enorme. Nascono gli scatolifici, e quindi l’industria di produzione della banda stagnata, si presta sempre più attenzione alla cura degli aspetti logistica, e quindi la collaborazione con le ferrovie dello Stato per avere dei treni con vagoni frigoriferi adatti al trasporto delle merci da Napoli fino al nord Europa, e tutto questo genera un indotto notevole che consente anche alle popolazioni che abitavano quelle zone di crescere e svilupparsi.
(tratto da L’intervista impossibile al pomodoro, che si è svolta al festival ColtivaTO, a cura di Antonio Pascale, grazie al professore Luigi Frusciante, Professore Emerito di genetica agraria all’Università di Napoli, che ha dato voce al pomodoro).