L’odore del the la mattina, mescolato a quello dell’erba tagliata, con il rumore, inconfondibile, del giardiniere che vive lì, nella grande casa di campagna in cui io arrivo, l’estate, dalla città. Il primo ricordo che mi viene in mente non è un sapore, ma un odore. Ancora oggi se sento quell’odore di erba tagliata mi arriva un colpo allo stomaco: e rivedo il the con i biscotti, i fagioli sgusciati, la pumarola a cui mia nonna aggiungeva una noce di burro. E poi l’estate, la piscina, la granita al tamarindo e il mio angolo di mondo in cui i problemi restavano fuori dal cancello. Chissà perché i pezzi della nostra infanzia si legano tanto ai ricordi delle cucine in cui ci siamo intrufolati, delle cene che abbiamo fatto o delle merende che tanto aspettavamo.
Quell’odore di erba e di the non è certamente il primo ricordo dell’infanzia, perché ero già grande quando andavo dai nonni in campagna, e sicuramente il cioccolato sciolto a bagnomaria, il riso al pomodoro o il tacchino al forno con le patatine fritte di mia mamma si sentiranno offesi, per non esser stati citati per primi. Ma è pur vero che a domanda, la prima risposta che mi viene in mente è questa. E credo che lo sia, perché si porta dietro un sentimento che ho inseguito a lungo nella vita: quello di una spensieratezza solida, perché costruita su quello che al tempo mi sembrava un mondo perfetto. Un mondo che non ho più ritrovato.