La nostra casa in un paesino del Molise aveva un pergolato stretto e lungo, sotto il quale i grandi avevano messo tanti tavolini tutti attaccati, a formare un unico lungo tavolo. Il fatto è che durante l’estate eravamo davvero tanti. Noi piccoli eravamo in otto, e poi, a parte mia mamma e mio papà, c’erano le varie zie e zii.
Insieme ai giochi liberi per le strade, i nascondigli negli angoli del paese tutto di pietra chiara, la cosa che più mi incanta del ricordo quei tempi è la totale separazione del mondo adulto dal nostro mondo.
Ecco, noi eravamo legittimamente un mondo a parte, io non mi dovevo mai preoccupare di capirli gli adulti, di capire quello che facevano, le loro logiche, i loro problemi. Insomma ci pensavano loro a mandare avanti il mondo, e questo ci lasciava, a noi piccoli, in un senso di leggerezza e mistero insieme. E che c’è di più bello della leggerezza e del mistero messi insieme?
Bene. C’è un cibo di quei tempi che contiene proprio questi due ingredienti: le pizzette bianche fritte nelle serate infinite di agosto, che una volta uscite dall’olio venivano passate o nello zucchero o nel sale. E questa, dolce o salata? Chiedevano le mamme e le zie.
Le vedevo da dietro, le mamme e le zie, le gonne leggere, un po’ sghembe e le gambe di fuori. Per me era un mistero cosa si dicessero mentre maneggiavano con i mestoli nell’olio bollente, immaginavo che parlassero delle grandi cose del mondo, che si confidassero segreti che agli uomini non dicevano, e poi pensavo anche che era un mistero il fatto che si mettessero a friggere le pizzette nel periodo più caldo dell’anno. Ma quanto era bello poter avere tutte e due le cose, le pizzette dolci e salate, senza dover per forza sceglierne una sola.