La trama de Il corpo ricorda, della scrittrice e attivista americana Lacy M. Johnson, (NN Editore, traduzione di Isabella Zani), è quella di una violenza. Un uomo sequestra e violenta una donna che in precedenza è stata la sua compagna e la sua convivente. Lui è un professore universitario, lei una sua studentessa. La violenza non è stata proprio un fulmine a ciel sereno, l’uomo aveva manifestato atteggiamenti violenti anche durante la loro relazione sentimentale, nella quale però si era dimostrato allo stesso tempo un uomo accudente e un amante passionale.
Ma la storia raccontata da Lacy M. Johnson va ben oltre questa ambivalenza (amore e violenza) di lui, perché è la storia del “doppio” come paradigma della realtà tutta. L’autrice all’inizio del libro, infatti, usa come riferimento l’esperimento di Erwin Schrödinger, che attraverso la quantistica vuole dimostrare che una cosa può essere quello che è ma allo stesso tempo anche il suo opposto, definendo la realtà una sovrapposizione di stati: morte e vita, desiderio e terrore, violenza e amore, piacere e dolore, esistono insieme. Per tutto il libro la protagonista vive il doppio, non domandandosi se sia viva o morta, se ama o odia, ma prendendo atto, con lucida serenità, di incarnare elementi opposti.
Il libro di Lacy M. Johnson è un memoir, è autobiografismo puro (è tutto vero quello che racconta) e potremmo di “subconscio”, perché la narrazione incarna lo sforzo onestissimo di ricostruzione della memoria del trauma, e non la sua elaborazione ex post, che avrebbe privato di originalità e fascinazione il libro. La protagonista fa fare al lettore il viaggio nella sua memoria, in diretta insieme a lei. E questa, che è una precisa scelta o una caratterizzazione di stile, ha degli effetti sulla pagina: nello sguardo, ovvero nel punto di vista, nella lingua e nella struttura.
Il punto di vista, lo sguardo sono onesti e limpidi, la camera da presa non ha pregiudizi, giudizi, non ha richieste né rivendicazioni.
Durante la relazione sentimentale lei ha amato e odiato quell’uomo, lo ha desiderato e temuto, ha progettato le fughe ed è tornata indietro, ha pianto nella minestra e poi è rimasta con lui. È stata amata, coccolata, raggirata, abusata. E dopo il sequestro e la violenza brutale subita a distanza di anni da quel rapporto, le denunce fatte, lei ha continuato a temerlo, odiarlo, vederlo negli incubi notturni, ricordarlo con amore. La narrazione non scade mai né nella condanna totale né nell’autocommiserazione, mai nel senso di colpa e mai nel vittimismo.
Questo tra l’altro dona all’autrice-narratrice la possibilità di raccontarsi nella sua interezza, e non solo come la protagonista della violenza subita. Quella violenza non diventa l’evento, il carcere, l’identità della donna, e neanche di questo libro. Scrive la traduttrice Isabella Zani in una nota alla fine del testo “questo libro è la storia, dolorosa e a tratti di schiettezza quasi intollerabile, di un rapporto sentimentale traumatico, (…) al tempo stesso è la storia di una persona che si guarda nascere, vivere e rinascere come studiosa, docente, moglie, madre, figlia, sorella e amica (…) ed è anche la storia della nascita di una scrittrice”
La lingua è di un realismo crudo, che in dei momenti può rischiare di scivolare nel sensazionalismo, creare un clima da thriller, ma l’autenticità della voce nell’insieme rimane intatta, e mantiene fermo il patto con il lettore attento ed esigente, non interessato a giostre emotive quanto alla scoperta di punti di vista sinceri e originali.
Il montaggio procede a salti piuttosto imprevedibili. A proposito di questo, scrive l’autrice in una delle sue note al testo: “nelle esperienze traumatiche gli ormoni dello stress provocano un significativo restringimento della consapevolezza e ciò comporta che vi sia una maggiore ritenzione mnemonica di taluni dettagli e una parziale o totale amnesia per altri. (…).
Il montaggio funziona benissimo, non ne esce un rompicapo narrativo, né un mero lavoro di abile architettura narrativa. Si ha la sensazione che quel percorso narrativo non sia affatto tortuoso, ma l’unico possibile. In un’altra nota dell’autrice si legge:
Memoria, in questo caso non indica soltanto la capacità della mente di ricordare le cose, ma anche la mente stessa, nella misura in cui la si consideri come sommatoria delle cose ricordate. Quando dico “memoria” non mi riferisco necessariamente a una specifica rievocazione, rimembranza, impressione o reminiscenza, bensì al rapporto o associazione tra impressioni, percezioni sensoriali e pensieri che sorgono dall’esperienza vissuta. Vale a dire la memoria umana è (…), una serie di processi mediante i quali cataloghiamo, archiviamo e recuperiamo informazioni.