La casa editrice siciliana Kalos ha da poco pubblicato un libro che mancava: un viaggio sentimentale che è anche una guida pratica alla granita, scritto da Dario Barbera. Barbera è siciliano, ovviamente, e attraverso la granita ci fa fare un tour alla scoperta della sua terra, tra storia, meravigliosi luoghi naturali anche poco conosciuti, passando immancabilmente per bar e pasticcerie raffinate. Ma non è solo questo che caratterizza il libro. Perché Barbera ha deciso di scriverlo mentre è a Milano (dove trascorre molto tempo della sua vita per lavoro), in una notte calda, insonne, di particolare solitudine e nostalgia. Ecco che il viaggio in Sicilia sulle tracce della granita è un viaggio proustiano, sentimentale, alla ricerca del tempo passato, perduto.
Così, l’autore attraversa le strade polverose e assolate della sua Sicilia in cerca di una buona granita in coppa, bicchiere o calice da gustare a seconda della provincia, con panna o macchie di caffè e cioccolato e da consumare insieme alla “brioscia” con o senza tuppo, al pane bianco o nero dell’Etna, al biscotto stretto e lungo messinese o così com’è priva di altre aggiunte o guarnizioni. E insieme ci racconta altro: il libro di Barbera, che è storico dell’arte antica, saggista e anche poeta, è pieno di memoria privata e storico letteraria insieme, ed ecco che mentre attraversa la Sicilia ci rende partecipe di uno sguardo e un sentimento universale.
Pubblichiamo qui, per gentile concessione dell’editore, una parte del primo capitolo del libro.
“Milano, luglio 1989. La città si risveglia con una gran voglia di vacanza, ancora stordita dal primo trionfo europeo del Milan di Berlusconi Galliani Dell’Utri, dalle notti da bere e da Colpo grosso, mentre in via Turati un gruppo di studenti ha appena fondato Galactica, il primo provider italiano di internet, al di là delle Alpi il progetto del World Wide Web giace su una scrivania del Cern e l’Urss si sta sgretolando. Nella sala grande del cinema Odeon di via Santa Radegonda, si sta svolgendo una matinée privata del film Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Ad assistere alla proiezione lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, «la moglie e un gruppetto d’amici» tra cui Vincenzo Consolo, che di quella mattinata estiva lascerà un’intensa memoria in Dal buio, la vita. E d’altronde l’occasione è di quelle che non si dimenticano, un po’ perché c’è molta, moltissima Sicilia che ricorda, in quella sala vuota nel cuore di una Milano deserta e vacanziera, un po’ perché Sciascia è alle prese con un male che lo sta lentamente consumando.
“Ex taenebris vita”, sta scritto sopra lo schermo del cinema. Dal buio, la vita: 6, 5, 4, 3, zumata su Totò Di Vita. Qualcosa si muove ma è dentro, quel sax che ti fa ballare le viscere. E poi d’improvviso l’incanto, il bacio fra Gassmann e la Mangano, come un pugno a freddo, che ti sembra di averlo già vissuto oppure sognato, fa lo stesso, quell’amore passionale, che sa di fieno e di vento e pioggia… E poi la carezza, Cary Grant che bacia Rosalind Russell, ma è la tua, tutta una vita come un ideale costante d’amore, una cosa tenera, che odora di casa e di risvegli romantici. E poi niente, il film è finito e le luci si accendono, brillando sugli occhi lucidi. Perché in sala piangono tutti. Piange il protagonista del film, Totò Di Vita, che è il regista e lo scrittore, il migrante e chiunque abbia perduto l’isola della propria infanzia. E piange Leonardo Sciascia.
Da quella memorabile mattinata, Sciascia avrebbe tratto un’appassionata recensione del film: C’era una volta il cinema. Che è poi c’era una volta la Sicilia, un viaggio sullo schermo dei ricordi, fatto come un sogno di prima mattina. Un sogno vividissimo, quella proiezione controcorrente nel golfo dell’Odeon, che risveglia l’inconscio dello scrittore sulla spiaggia delle orme perdute. Sulla soglia del suo ultimo viaggio, Sciascia rivive. Rivive sensazioni tracce sapori che sembravano per sempre smarriti: «chi si ricorda più della neve che i carretti portavano giù dalle neviere di mon9
tagna, coperta di sale e paglia, e di cui per le strade si gridava la vendita e dalle case si accorreva a comprarla a refrigerio delle mense estive? Due soldi di neve, quattro soldi: e la si metteva nell’apposito incavo di certe bottiglie (non ne ho più viste in giro), a far fresca l’acqua, a rendere quei fortissimi vini rossi all’illusione della leggerezza. Mezza lira di neve poi bastava a gelare quell’insieme di acqua, zucchero, limone e bianco d’uovo battuto a schiuma, che era la granita: la granita di una volta che ancora, fortunatamente, in qualche paese fuori mano è possibile trovare».
C’era una volta la granita. La granita di Sciascia, quella di «Maruzzu, che […] nel mese di maggio si dava all’attività di gelataio. Faceva soltanto granita di limone, di un sapore mai più ritrovato» (Occhio di capra). Dal vassoio delle bibite del cinema, dallo specchio delle brame letterarie, ecco che la granita riemerge tremolando come un’effimera, inafferrabile madeleine. Una madeleine meridiana.
Potere regressivo dei dolci. Per i siciliani, la granita ha il retrogusto delle estati che furono. Come il cinema, i sogni e la poesia riesce sempre a isolarli dal mondo e a farli tornare bambini. E ovunque si trovino, riesce sempre a riportarli in Sicilia e a farli rinnamorare, di quest’isola sfuggente e difficile. Un’isola della memoria in perenne disfacimento nel suo bicchiere, un’Itaca beatamente raggiungibile nel ricordo di un gusto perduto.
Questo e altro agitava le mie notti lombarde, nel letto di un’estate intrisa di nostalgia e solitudine. E spero dunque che il lettore topicamente benevolo non mi giudicherà se, abbandonandomi a una dolcissima illusione, mi è venuta voglia di granita. O, meglio, voglia di trovare una granita buona come quella di una volta.
Ma dove sono le granite dell’anno che fu?”
Tratto da Piccola guida pratica e sentimentale alla granita siciliana, di Dario Barbera, Kalos, www.edizionikalos.it