Due chiacchiere con Paolo Inglese (professore di Arboricoltura Generale, nonché direttore del Sistema Museale dell’università di Palermo) sul magnifico Orto di Palermo e su altre questioni agricole.
Dovendo presentare l’Orto Botanico di Palermo da cosa inizieresti?
L’Orto Botanico dell’Università di Palermo è innanzitutto un Orto Botanico Universitario, quindi ha un legame imprescindibile con la ricerca scientifica, perché di fatto è lo ’stabilimento scientifico’ della nostra Università, sin dalla sua fondazione, nel 1806.
Molti anni di studio, quindi
Sì, il suo patrimonio è frutto dello studio, che prosegue da 230 anni, dell’acclimatazione di specie esotiche. L’Orto, quindi, non è un giardino storico, non è un frammento di una cultura passata, ma, al contrario, è un luogo dove leggere il futuro dell’agricoltura e delle nuove specie che si diffonderanno nel verde ornamentale e in natura.
Mi dici qualche specie introdotta?
Alcuni esempi: l’Orto Botanico di Palermo ha introdotto in Europa specie come il Nespolo del Giappone, il Mandarino, L’Annona cherimoya. Ha introdotto in Italia Cycas evoluta e centinaia di altre specie che oggi abbelliscono giardini di Palermo, della Sicilia, di tutto il Paese.
Ogni volta che ci entro sento che e’ un Orto accogliente, e siccome faccio lo scrittore mi viene subito una metafora…
L’Orto è una metafora fisica della capacità di ‘accoglienza’ della Sicilia. E’ quasi un atto politico. Specie di 5 continenti convivono in 11 ettari e, spesso, in pochi metri quadri. Si tratta di specie che vengono da condizioni climatiche e da flore assai diversificate e del tutto diverse da quelle che trovano nel Mediterraneo.
E immagino ci sia un’altra metafora quindi, insomma una riflessione ulteriore…
Si, l’Orto Botanico non è natura, ma è il luogo della perfetta interazione tra pianta e gestione umana. L’Orto non può prescindere dalla cura. Non è un climax, se lo fosse alcune specie prevarrebbero sulle altre e alcune sparirebbero.
Quindi riassumendo, per la presentazione come proseguiresti?
L’Orto è scienza, futuro, accoglienza, cura. Ma insieme a questo è bellezza assoluta.
Ok, andiamo con qualche caratteristica tecnica, insomma le vostre specialità…
Partiamo dal principio: come dicevamo, l’Orto Botanico è un giardino nato per la conoscenza scientifica delle piante, un luogo dove è possibile osservare tutte le manifestazioni del loro esistere al mondo, cioè la fenologia. Oltre alla germinazione e all’accrescimento delle giovani piante, qui puoi osservare soprattutto le differenti fioriture e fruttificazioni, nonché la fogliazione e la defogliazione.
Come fate per coltivarlo, non so, concimate, potate?
Noi non forziamo le fioriture, con decise potature o laute concimazioni, ma lasciamo che la pianta esprima questo magico momento nel modo più consono alla sua natura.
Come mai questa scelta?
Non ci interessa potenziare e aumentare la fruttificazione. I frutti, infatti, li lasciamo sugli alberi e per terra per consentirti di osservarli e per garantire il continuo riciclo del Carbonio all’interno del sistema-Orto.
Momenti particolari in cui è più bello visitare l’Orto?
La fogliazione che avviene in primavera mostra i colori delle giovani foglie mentre la defogliazione che si verifica in autunno-inverno, copre il suolo di un eterogeneo manto di foglie, determinando pittoreschi tappeti cromatici, nei viali e nelle aiuole: si tratta di un vero e proprio Erbario all’aria aperta in cui poter osservare la sorprendente diversità di forme e colori espressa dalla fitodiversità che caratterizza questo Orto Botanico.
Quindi le foglie le lasciate a terra?
Sì, per potenziare il contenuto di sostanza organica nel suolo. Per questo trovi le foglie per terra durante la tua passeggiata: esse, infatti, sono fondamentali nel ciclo del carbonio che conferisce alla Terra, anno dopo anno, la sua rinnovata fertilità.
E se un insetto cattivo o un patogeno le minacciano?
Le piante, alcune volte, sono attaccate da patogeni, ma noi non interveniamo immediatamente, perché vogliamo favorire la loro capacità naturale di reazione alle avversità. Praticamente non usiamo fitofarmaci, se non in casi estremi e sempre in maniera puntuale e per brevissimi periodi. Questo è anche il modo di favorire l’acclimatazione delle nuove specie e il loro adattamento al nuovo ambiente in cui si trovano a vivere. Le erbe spontanee che noti in alcune zone dell’Orto sono lasciate volutamente fino alla fioritura e alla fruttificazione. Tutto ciò, infatti, è fondamentale e indispensabile per lo studio e l’identificazione tassonomica delle specie vegetali da parte degli studenti della nostra Università, per gli appassionati, ma anche per potenziare il nostro Erbario e la nostra Banca dei Semi, proponendo scambi con altri orti botanici. La terra, inoltre, trae grande beneficio dalla presenza di tali erbe che sono in grado di accrescere l’interesse paesaggistico del giardino.
Quindi, in questo caso, nessuno si può lamentare delle malerbe…
Anzi…diciamo che per questo motivo in primavera troverai distese di papaveri, che negli anni abbiamo fatto in modo che andassero a seme, come anche numerose specie tradizionalmente consumate, come verdure spontanee o quelle utilizzate nella medicina popolare.
E l’uomo?
L’intervento dell’uomo è misurato, discreto e tende a raggiungere un equilibrio biologico sempre più stabile e resiliente. L’uomo è un osservatore. Osserva questo luogo complesso in biodiversità con dedizione, attenzione, e con la giusta interpretazione. Non è un giardino formale, ma un luogo in continua evoluzione, della quale deve mostrare i segni.
Senti Paolo, tu sei professore, insegni coltivazioni arboree e qualità dei frutti, mi chiedevo: come vedi oggi l’agricoltura?
La tua non è una domanda cui è facile rispondere in pochi istanti. Certo è che negli ultimi 70 anni, dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale ad oggi, l’agricoltura è cambiata più di quanto abbia fatto nei millenni precedenti.
Motivi?
Varie rivoluzioni: della meccanica, della plastica, della chimica e, quindi, della genetica, combinate insieme hanno determinato un incredibile salto in avanti delle rese, una grande semplificazione dei sistemi colturali, almeno nei Paesi così detti avanzati. Poi globalizzazione e rapidità di trasporti hanno fatto il resto.
I benefici li vediamo, in fondo c’è cibo per tutti e in abbondanza, e i prezzi?
Si, è vero, nessuna generazione umana ha mai avuto accesso a una tale quantità e diversità di alimenti. Scegliere, oggi, non è più privilegio di pochi, ma consumo di massa. Il prezzo pagato è però altissimo, in termini di erosione della biodiversità, di perdita di fertilità dei suoli, di sprechi alimentari, di sostenibilità generale dei sistemi agrari anche in termini di pressione sui sistemi naturali ad essa correlati. I sistemi agricoli da produttori di energia ne sono diventati debitori.
Che facciamo?
La strada da percorrere non è certo quella di falsi miti, come la biodinamica o il ritorno a varietà antiche e all’agricoltura di prossimità, ma quella di un uso consapevole delle risorse, dell’intensificazione sostenibile, del cambiamento, che deve essere radicale, del concetto di qualità del frutto che oggi, con l’ossessione della dimensione, dell’assenza dei difetti, insomma, del valore estetico, genera enormi costi ambientali, scarti alimentari e differenze di reddito ingiustificabili. Una vera ingiustizia sociale e il folle tentativo di ottenere una sorta di uniformità che è propria dell’industria piuttosto che dell’agricoltura. Oggi, il modello è cambiato e competitività e sostenibilità ambientale, sociale e economica vanno insieme, non c’è l’una senza l’altra e il motore di questo cambiamento radicale sta nella maggiore consapevolezza dei cittadini.
Anche il cibo sta cambiando…
La ricerca di cibi funzionali e del valore nutraceutico determinerà sostanziali cambiamenti nelle scelte agricole, come la necessità di semplificare le cure colturali si dovrà tradurre in maggiore applicazione delle tecnologie di monitoraggio anche remoto dei diversi processi biologici, piuttosto che in una riduzione ulteriore e insostenibile della complessità dei sistemi agrari. Infine, oggi i sistemi di distribuzione e i modelli di consumo incidono sull’organizzazione e sulla struttura del sistema produttivo come mai prima. Se infatti oltre l’80% degli acquisti si fa nelle catene di distribuzione, nella GDO, questo incide moltissimo sull’organizzazione del settore primario e anche sulle stesse scelte del cosa e di come produrre.
Osservando l’Orto, con le premesse di cui sopra, hai imparato qualcosa sull’agricoltura?
Non c’è una relazione così evidente, ma a ben guardare la lezione maggiore la regala la consapevolezza che la grande biodiversità, quindi la complessità, dell’Orto Botanico si traduce in una sua maggiore sostenibilità, in una forte resilienza. Nell’ Orto non si usano concimi o pesticidi, non si lavora, se non per ragioni legate alle pratiche irrigue, il suolo. Questo determina un contenuto in sostanza organica superiore al 5% e la presenza di un elevato numero di interazioni predatore-parassita, che limita i casi davvero gravi di infestazioni di insetti. Forse questa è la più grande lezione ‘agronomica’ dell’Orto botanico.
C’è un modo per trasferire questa lezione in campo? Sappiamo che è cosa complessa, difficile trovare la sostanza organica, difficile non proteggere la pianta con agrofarmaci ma nuovi strumenti per nuove pratiche ne abbiamo?
Hai detto bene, deve essere una cosa ‘complessa’. L’agricoltura industrializzata ha generato paesaggi uniformi. Pensiamo alla ‘cornbelt’ americana, mentre la tradizione dell’agricoltura del Mediterraneo ha generato uno straordinario mosaico di paesaggi che ha costituito per millenni e ancora costituisce la perfetta miscela tra funzione e bellezza. Io penso, non credo, che la ricerca scientifica abbia il dovere di compiere una rivoluzione epocale che consiste nel guardare avanti, nella costruzione di un modello capace di nutrire 8 miliardi di essere umani, senza generare ulteriori, insostenibili costi ambientali.
Caratteristiche di questa rivoluzione che si preannuncia?
In questa fase storica, radicalmente diversa dalla rivoluzione verde che vide in Borlaug il suo mentore, non è l’incremento delle rese il solo obiettivo, ma la riduzione degli scarti, spesso dovuti a ragioni tecniche facilmente superabili, la maggiore efficienza nell’uso delle risorse energetiche, l’applicazione delle ICT nel consentire interventi mirati sui singoli processi di crescita della pianta e dei suoi organi, sulle popolazioni di fitofagi e sull’uso di risorse come quella idrica, oltre che sullo stesso suolo agrario. Misurare, modellizzare per comprendere e prevenire.
Altri strumenti?
A questo si aggiungono gli studi di genomica e il miglioramento genetico che ha il dovere di affrontare obiettivi condivisi, con uno sforzo della ricerca pubblica che DEVE riprendere il suo ruolo chiave, troppo spesso e da troppi anni, lasciato quasi esclusivamente nelle mani, e nelle idee, dei breeder privati, che hanno lo scopo preminente del profitto. Anche nei servizi legati all’agricoltura, in particolare quelli legati alla shelf life e alla logistica, si gioca una partita importante, legata, in questo caso alla riduzione degli scarti e alla qualità reale. Poi, ci sono i grandi temi legati alla nutrizione di vaste aree del mondo dove ancora agricoltura e alimentazione segnano il passo e la fame cronica è un problema che investe oltre 700 milioni di persone. Qui sono i temi legati alla sovranità alimentare e delle risorse genetiche, oltre che dei servizi e delle politiche legate alla disponibilità di energia sostenibile a decidere il futuro di quello che ancora chiamiamo il Sud del pianeta. Occorre in definitiva ragione sui sistemi agricoli e sui sistemi alimentari in modo coerente e specificamente legato ai territori e alla società umane che li abitano.