Non ho conosciuto, o almeno non posso ricordare, i miei nonni. Ma ci hanno pensato gli zii a lasciarmi ricordi vividi del cibo dell’infanzia.
Potrei dunque raccontare della “minestra tanto bona che non sa di niente” di zia Margherita a Manziana, parenti veri e tanti piatti tipici che ancora oggi sono occasioni di festa, o del polletto alla brace che faceva zio Silvio sul braciere in balcone, uno zio “acquisito” che mi ha scarrozzato al mare per tutte le mie estati da zero a 14 anni, credo. Ma concentrandomi bene forse il sapore e il gesto nel quale più mi riconosco è quello della mezza ciriola, o almeno mi pare fosse quel pane, coperta di sugo che mia madre mi passava prima di pranzo le domeniche d’inverno trascorse “alla vigna”, ovvero nella nostra campagna. Avevamo un negozio di prodotti per l’agricoltura a Velletri, 40 km a sud della Capitale, e all’epoca non esistevano le gite o i viaggi del fine settimana. Il negozio era chiuso solo il giovedì pomeriggio e la domenica quando, dopo la messa, si andava in campagna. Mia madre d’inverno metteva a cuocere il sugo, mio padre – tanto per cambiare – lavorava. Mia sorella già studiava fuori, io e mio fratello passavamo la mattinata a giocare col pallone. La merenda era quella, un piatto con sopra il pane e il sugo fumante appena tirato fuori dal pentolone. Mi ricordo la scena, i cappotti e – spesso – la pioggia, una vita che è ormai lontana e che nella sua semplicità ci ha dato basi solide.
Il gusto di quel sugo per fortuna ogni tanto lo riassaporo dal vivo, mamma e papà hanno sistemato la casa di campagna e ci vivono da anni. E noi siamo ancora tutti lì, solo un po’ cresciuti.