Di recente Piero Angela ha ricordato la battaglia della sua vita: far capire (alla politica) quanto la scienza sia fondamentale per il benessere della società. Intervistato da Fabio Fazio, a un certo punto, in un impeto di passione, ha alzato un po’ la voce. Con la mano piegata a coppa intorno alla bocca per amplificare il messaggio, ha ricordato che suo padre è nato in un tempo nel quale la bicicletta non esisteva, la mortalità infantile era altissima e l’aspettativa di era vita uguale a quella dei nostri antenati di millenni fa, e cioè intorno ai 35 anni. All’epoca, il 70 % degli italiani era analfabeta (al Nord, nel regno Borbonico, per esempio, appena dopo l’Unità di Italia, si contavano quasi il 90% di analfabeti). Scienza e tecnologia ci hanno cambiati e poi – ha insistito Angela – benessere
significa anche emancipazione femminile.
Certo, i critici della modernità non mancano e sottolineano alcuni aspetti quali esaurimento e distruzione delle risorse. E l’impronta ecologica lasciata non da un miliardo di persone (come ai primi dell’Ottocento) bensì da otto miliardi (e arriveremo a dieci), ecco, quella pesa.
Allora come si fa? Si decresce? Ci poniamo dei limiti? E di quanto si dovrà decrescere, e quali e quanti limiti vanno introdotti? In quali settori poi? Per esempio,
alcune pratiche agricole sono annoverate tra quelle pericolose per il pianeta. Vero, falso? Ebbene, i passionali della scienza e gli scettici della modernità possono trovare una risposta (e si spera un sentire comune) proprio guardando l’agricoltura. Un grafico (riportato nel libro di Andrew McAfee, More from Less) mette in correlazione l’aumento della produzione nel settore agricolo con l’uso delle risorse. Fino al 1974, in effetti, a vincere erano diciamo così proprio i pessimisti: cresceva la produzione ma aumentava l’uso delle risorse necessarie per quella produzione. Poi dal 1974 le due curve (produzione e input) si disaccoppiano. Ora, nel 2021, questa forbice è molto ampia. Perché? Forse perché abbiamo tutti introdotto in agenda un concetto: la sostenibilità.

Una bella parola, certo, a patto però che si mettono alla prova gli strumenti necessari per ottenerla. Insomma, meno chiacchiere e più dati basati su metodi di misurazione condivisi. Purtroppo, su questo aspetto siamo ancora piuttosto deficitari. In genere si preferisce raccontare una sostenibilità cool, con storie da rivista patinata, o peggio rievocare i metodi delle nonne, e non ci ricordiamo che all’epoca, appunto, i nostri nonni pativano la fame e non avevano ancora la bicicletta. E’ un peccato, perché così facendo si lasciano nell’ombra molte aziende che da anni cercano quegli strumenti necessari per produrre more from less.
Valagro da 40 anni cerca di lavorare proprio su quella forbice, di disaccoppiare le due variabili, e quindi da una parte aiutare gli agricoltori a ottenere raccolti di qualità e quantità superiori, dall’altra ottimizzare l’uso delle risorse naturali. Come si può fare? In Valagro parlano della “terza via” (che sono stati anche programmi politici) sin dagli anni Ottanta, quando tutto è iniziato in Abruzzo e l’azienda era piccola, con sede ad Atessa, quasi un puntino tra le catene montuose appenniniche. La terza via: ogni tecnica agricola deve tener conto a monte del suo impatto. Ma come si realizza in concreto e non solo con gli spot? In Valagro si lavora per mettere insieme dati, scienza e natura, come spiega Giuseppe Natale, a.d. dell’azienda: “La sfida è colossale: sfamare la popolazione
mondiale che continua a crescere, arriveremo a 10 miliardi, e l’unica soluzione è avere fiducia nella scienza e nella tecnologia, senza mai dimenticare il concetto di sostenibilità che non è solo ambientale”
Nel corso degli anni Novanta Valagro si è aperta al mercato europeo e non solo, ha iniziato ad affermarsi anche in Oriente e Sud America. Ad oggi conta 13 filiali sparse in tutto il mondo, due siti produttivi in Italia, due in Norvegia, due in India e un nuovo impianto a Pirassununga, in Brasile. Inoltre, l’azienda sta lavorando alla costruzione di un nuovo impianto negli Stati Uniti.
Ma facciamo un esempio concreto della terza vita, di prodotti o tecniche innovative? I biostimolanti. Cosa sono? Per rendere l’idea, uno dei primi biostimolanti è stato il letame, il cui nome deriverebbe dalla sua natura di allietare i campi. I moderni biostimolanti allietano le culture, sono strumenti innovativi, in grado di aumentare la crescita, la resa e contemporaneamente la tolleranza delle colture agli stress abiotici. Si tratta di sostanze di origine naturale, che attivano in modo mirato i principali processi fisiologici della pianta, promuovendone la crescita e la produttività. I biostimolanti riescono di fatto ad aiutare le piante a migliorare l’assorbimento e l’efficienza dei nutrienti e le rendono più forti di fronte agli stress abiotici (gli aspetti geologici, climatologici e atmosferici). In più, queste sostanze consentono di ottenere colture migliori, ovvero di produrre di più e meglio utilizzando meno terreno, meno acqua, meno mezzi tecnici.

Anche se fanno rima o sono assonanti, i biostimolanti operano attraverso meccanismi diversi rispetto ai fertilizzanti, e si distinguono dagli agrofarmaci perché
agiscono solamente sul vigore delle piante (un po’ come rafforzassero la pianta) e non hanno nessuna azione diretta contro i parassiti o le malattie. La biostimolazione delle piante è dunque complementare all’uso di fertilizzanti ed agrofarmaci. Tra gli ultimi prodotti messi a punto dall’azienda c’è Talete, un biostimolante che aiuta a massimizzare l’efficacia nell’uso dell’acqua, e che può essere usato sia per quei casi in cui c’è una scarsità di acqua ma anche in condizioni di normale disponibilità.
Quindi, nella sostanza, si lavora proprio per disaccoppiare le due variabili, si ottiene una buona produzione con meno risorse, acqua in questo caso. Le idee migliori nate dalla ricerca Valagro diventano prototipi che vengono messi alla prova da un’accurata sperimentazione e prove in campo, alle più diverse latitudini e condizioni ambientali. Per questo l’azienda ha dato vita da tempo a una sua piattaforma tecnologica, la GeaPower®, grazie alla quale materie prime vegetali vengono selezionate per individuare ed estrarre i principi attivi naturali, che vengono, poi, combinati in prodotti specifici per la nutrizione delle colture. L’utilizzo di indagini selettive e tecnologie all’avanguardia, uniti all’applicazione mirata di genomica, fenomica e proteomica, rendono possibile la realizzazione di soluzioni innovative per i processi di crescita delle diverse colture. Inoltre, di recente è stato inaugurato il Nuovo Polo di Ricerca di Valagro, un hub all’avanguardia per l’innovazione in agricoltura.
“L’agricoltura del futuro è efficiente e sostenibile – conclude Giuseppe Natale, a.d dell’azienda – e la nostra sfida è riuscire a costruire valore in questo settore e benessere in un mondo sempre più popolato: per questo non smettiamo mai di investire in ricerca e innovazione, tendendo sempre in prima linea il rispetto per l’ambiente” e qui torniamo all’inizio, a Piego Angela, stessa passione.
(Valeria Cecilia)