Le bufale non sono Fake, anzi trattasi di animali credibili, e buoni. Lo dimostra il lavoro del Consorzio di tutela mozzarella di bufala campana Dop. Allora, questa storia virtuosa? Con le bufale, poi? In sintesi: trattasi di impresa che in tanti (io compreso) giudicavano, e fino a qualche anno fa, difficilissima.
Conta il punto di partenza. Tanto per rendere l’idea, da una parte c’erano i mazzoni, terreni argillosi e duri, dall’altra parte, i terreni sabbiosi, abbandonati, comunque difficili. Da una parte Caserta, dall’altra Salerno. E poi c’erano le bufale, e da tempo immemorabile. I mazzoni: acquitrini, anzi paludi, e prime delle bonifiche, abitati da tipi arcigni. Che vuoi fare, l’isolamento e la miseria nei secoli avevano trasformato questo pezzo di territorio una terra di nessuno. Molto violenta. E qui – si diceva- gli uomini sono retrocessi a livello di tribù.
Un vecchio documentario della Rai, nei primi anni ’60, raccontava il percorso di avvicinamento ai mazzoni e alle bufale. Veniva descritto un territorio, come dire, tipo far west casertano, dove, appunto, per anni, i cavalli sono impazziti e gli uomini appresso a loro e dove gli unici animali che invece vivevano bene (negli acquitrini) erano le bufale. Un luogo da cui arrivavano leggende o voci inquietanti. Per esempio: si sparava e tanto e bene anche. Quando all’inizio del secolo, arrivò il circo di Buffalo Bill e lui in persona sfidava tutti a tirare con la pistola e il fucile, ebbene, qui, nei mazzoni, ebbe problemi: perse su tutta la linea.
Oppure: i mandriani vivevano per mesi e mesi isolati dal mondo smettevano di parlare e si esprimevano con grida e fischi. Chiaro poi che l’unica legge seguita è la violenza, e infatti, per un nonnulla, si incendiano i covoni dei vicini o si tagliano i garetti agli animali (così per regolare i conti).
Poi c’erano i terreni sabbiosi della zona di Salerno. Piovene nel suo viaggio in Italia (tra il 1954/56) arriva nel Salernitano, si spinge fino al Cilento, nota cale e calette e le aggettiva: di una bellezza tropicale. Ma sottolinea il solito problema agricolo meridionale: frumento a iosa (tanto cresce sempre) e un po’ di vite, comunque, aria di abbandono e donne che con il solito ancestrale orcio in testa che venivano, avvolti da scialli neri, da chissà dove e chissà dove andavano.
Macerie, rovine e la bufala – racconta Piovene. L’animale fa anche pendant col contesto, ispira antiche archeologie e riti. Comunque, questo animale tenero, con gli occhi spiritati, nota Piovene, è capace di instaurare un rapporto particolare col mandriano. Più che un padrone un amico. Perché la bufala è appunto un animale molto sensibile –raccontano gli allevatori- se durante la mungitura tratti male l’animale, chessò usi il bastone, l’animale il latte non te lo da mica.
All’epoca poi, se la bufala non vedeva il piccolo vicino a lei non si faceva nemmeno mungere. Anche per questo il mandriano doveva dimostrare di volerle bene. Così, al momento del parto, il mandriano dava un nome all’animale. In dialetto stretto, per esempio tu si a chiù bella, oppure a cianciosa e insomma, al momento della mungitura il mandriano addolciva l’animale cantando il suo nome. Un po’ nenia da muezzin, un po’ canto orientale, in ogni modo un richiamo confidenziale che risuonava in un paesaggio povero, arcaico, vabbè, qualcuno pensa poetico, puro, romantico e quello che vuoi, ma poi i numeri parlavano chiaro, sia nei mazzoni sia nel Salernitano, fame, povertà, bassa (o assenza di) scolarizzazione, igiene scarsa, difficoltà ad affrancarsi dalla miseria, investimenti bassi, inesistenti e il senso di fatalismo che, come un gas mellifluo, formava quella cappa solita: il Consorzio di tutela mozzarella di bufala campana Dop, si è inserito in questa terra difficile e ha prodotto una nuova terra. E la terra è diventata virtuosa.
Vediamo come…