Allora, questa storia virtuosa? Le bufale a cui nessuno credeva? Riprendiamo, dai. La storia virtuosa – dicevamo – è che tra pistole, sparatorie, povertà, si è imposto un processo di civilizzazione grazie al quale e complice il Consorzio di tutela mozzarella di bufala campana Dop, è stato possibile trasformare (sublimare) tutta questa durezza, questa argilla, la sabbia, gli acquitrini, il fatalismo opprimente in un prodotto bello e unico: la mozzarella.
Che deriva dal verbo mozzare il gesto che il mastro casaro compie durante la lavorazione, mozza, cioè, al momento opportuno, dalla pasta in lavorazione, la testa di formaggio: la mozzarella.
L’educazione (artistica) a certi gesti. Voi dite, che ci vuole a mozzare? E invece è un’arte. A parte, come dicevamo, trasformare dei terreni una volta paludosi in allevamenti razionali di bufale, ma è un’arte ottenere questo formaggio a pasta filata, color bianco porcellana, grazie all’aiuto una squadra di artisti che lavora in buona sincronia (la y sul formaggio è segno di mozzatura manuale, mentre la goccia di latte indica una mozzarella prelibata, non vi fidate di quelli che dicono: dalla mia mozzarella esce tanto latte: quella è acqua, il latte, infatti, si è trasformato in formaggio).

Ci vuole l’educazione al gesto, appunto, un’arte, passata da nonno a padre, e da padre in figlio e ultimamente, a favore dei nipoti, il gesto è stato studiato, protocollato e insegnato in appositi corsi che il Consorzio tiene ai giovani (che poi questo formaggio, vi garantisco, può dare delle visioni, soprattutto al primo assaggio, una cosa simile al LSD ma senza il pericolo di quella droga). E fra poco, a ottobre, si apriranno corsi per l’Accademy, in collaborazione con l’Università Federico II, di Napoli. Ora, dal 1981 (si spengono quest’anno le 40 candeline), dopo molta fatica e combattimenti, il Consorzio di mozzarella di Bufala DOP, ha riunito sotto lo stesso tetto quattro regioni Campania (province di Caserta, Salerno, Napoli e Benevento), Lazio (province di Latina, Frosinone e Roma), Puglia (provincia di Foggia) Molise (Comune di Venafro). Per essere più precisi, le province di Caserta e Salerno rappresentano circa il 90% della produzione certificata DOP. E a proposito, nell’area DOP insistono 3 Parchi Nazionali (Circeo, Cilento e Gargano) e ben 10 Parchi Regionali, quindi assaggiare la mozzarella per il noto effetto lisergico, significa viaggiare anche per parchi e monti.
Sì, ognuno ha il suo e senza il manuale Cencelli. Perché il Consorzio è riuscito a fare squadra. E’ la sostanza della storia virtuosa, la squadra dico. Sono territori difficili, dove per le suddette ragioni storiche, antropologiche, gli allevatori preferivano il motto (falso) chi fa da sé fa per tre. Oppure giocare a sfoggiare il trattore più bello, più potente, e appunto, solo per farsi belli non perché quel mezzo fosse funzionale all’economia aziendale (ancora oggi, di tanto in tanto, si nota questa dinamica: la sala mungitura costa e preferisco non cambiarla, anche se poi ci metto tempo a raccogliere e consegnare il latte e incido così sulla consegna e sul prezzo finale, e tuttavia da una parte mi lamento dei pochi soldi, dall’altra parte appena possibile mi compro un mezzo così potente che devo far venire la bile a tutti). Una terra difficile, si è detto. Dove giocare in squadra non era nei vecchi protocolli. Difatti qui le cooperative non esistono, o se ci sono sulla carta sono intestate a singoli (le cooperative di…).
Eppure, in nome nel processo di lavorazione (che appunto, si fa in squadra) e del bene della mozzarella dal colore bianco porcellana, il Consorzio nel 2019 ha prodotto 50.212 tonnellate di Mozzarella di Bufala Campana (+1,6% sul 2018). Notevole anche l’export, il 34,14% (+1,4% sul 2018), principalmente in Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti. E nel 2020, durante la pademia? 50.677 tonnellate di prodotto dop, +1% sul 2019 nonostante la pandemia. Mantenendo – ed è un pregio- sia una certa tutela per le caratteristiche generali del formaggio, sia le piccole differenze di gusto (dovuto alle diverse lavorazioni, alle esperienze dei singoli mastri casari, al territorio: insomma viva la mozzarella ma via anche la biodiversità del territorio).
Dunque, possiamo distinguere e preferire e tifare per la mozzarella di bufala di Salerno o di Caserta e applaudire i nuovi venuti che portano linfa e gusti da scoprire. Si gioca in squadra ma si valorizza anche il singolo.
C’è un’ultima battaglia che il Consorzio sta tentando di fare e vediamo se riuscirà a farsi ascoltare. Vuole fare arrivare il prodotto, a basso prezzo, in pizzerie d’oltre oceano. Come si fa? Visto che il trasporto costa? Togliendo il siero e congelando la pasta –dice Domenico Raimondo, presidente del Consorzio.
Ottimo metodo, la mozzarella non perderebbe nulla. Ma il disciplinare non lo permette. Si può cambiare? Si può innovare per portare avanti e soprattutto far assaggiare un prodotto tradizionale a prezzi popolari? Certo che sì, e per riuscirci, nei prossimi anni, il Consorzio dovrà rendere più vivi, accesi, e alati, più candido e bianco porcellana il suo lavoro di squadra.