Non quelle notizie che mettiamo in giro, ma una che non mettiamo in giro. Trattasi di una omissione: siamo 8 miliardi di cittadini, andiamo verso i 10. Ripetiamolo come un mantra, altrimenti il discorso è falsato all’origine.
Come dicono in tanti: qui vanno messi dei limiti! Ma il concetto di limite l’ho perso già nel 1981, quando Gaetano (Massimo Troisi), in Ricominciò da tre, cerca di spiegare a Robertino (Renato Scarpa) qual è il limite, cioè quante volte uno può fare l’amore senza incorrere nel peccato. Si impegna molto ma finisce che gli dice di uscire di casa e toccare le femmine, perché non c’è nessun limite.
Vero. Il limite si scontra la vita. Vogliamo vivere, ma non consideriamo che il suddetto è un desiderio comune, ed è giusto così: nessuno vuole morire. Viviamo e qualche danno lo facciamo. Per questo utilizziamo il termine antropocene. Tuttavia, siamo più propensi a contestare una generica specie umana. Diciamo così, è più cool contestare gli umani che noi stessi.
Quello che nel dibattito ecologico fatichiamo a dire è che questo mondo permette a 8 miliardi di cittadini di vivere e di morire tardi. Un progresso mai visto. Roba di cui, come rappresentati dell’antropocene dovremmo essere orgogliosi, basta ricordare alcuni parametri, otto miliardi di cittadini (presto arriveremo a 10). Mortalità infantile bassissima (tranne nei paesi molto poveri), aspettativa di vita alta (anzi, invecchiamo tanto e nasciamo poco), indice di fertilità in calo, tanto che è diventato un problema, in Italia, si è sotto la soglia di sostituzione, fissata a 1.5. Questo vuol dire che si è più ricchi, le donne studiano (vedi India e Bangladesh, dove il tasso di alfabetizzazione femminile è il doppio di quello maschile).
Insomma, questo mondo che conserva diseguaglianze e problemi, e tuttavia è anche frutto dei nostri migliori sogni, per esempio un mondo libero (quasi) dalla fame, dalle malattie (ad esse associate) e carestie.
Conclusione? Moriamo di meno, viviamo di più. Risultato: impattiamo tanto!
Più che limiti generici, difficile da misurare ed imporre, ci vogliono strumenti efficaci.
Tutto il nostro impegno oggi deve essere mirato non a gridare che tutto va bene o va male, ma ad esaminare il contesto in cui ci muoviamo. Misurare gli effetti dei nostri passi: certo difficile che non impattino per niente, ma è ingiusto scoraggiarsi se non raggiungiamo in fretta lo zero tanto agognato (Km zero, residui zero, zero emissioni).
Studiare soluzioni è un compito che richiede l’impegno di tutti, nessuno escluso e funzionerà se riusciremo a usare un metodo di lavoro basato su evidenze e non sulle nostre vaghe opinioni –perché quelle, in assenza di metodo, valgono zero-.
Non scoraggiamoci, dai. Il bello deve ancora arrivare, forse l’età dell’oro non è passata, ma con un po’ di impegno collettivo e sano metodo scientifico possiamo vederla arrivare.