Ho due ricordi, uno è antico, l’altro è recente. Il primo: sono un bambino, sto sulle spalle di mio padre e allungo le mani per prendere more di gelso nere (devo avere una foto da qualche parte a testimonianza del ricordo): comunque, lo so che non abbiamo memoria del sapore, ma ovvio, le more ancora oggi sono legate a quel gesto e come da classico effetto madaleine, a cascata mi ricordo i campi, il sole, certi tramonti, la striscia di mare blu che qualche volta intravedevo al di là dei campi di grano maturi.
Il secondo è di qualche giorno fa, ora ho 55 anni e sto assaggiando una foglia di Rucola che una agronoma ha tagliato con le forbici. Sì, lo so, nei campi si mangiano i frutti, ma la verdura, quella no. Tra l’altro è un comandamento impartito a noi tecnici fin dalle aule universitarie. Poi ho una cuffia protettiva e un camice bianco, anche le scarpe bardate e naturalmente occhiali e mascherina. Sono infatti nella stanza di un laboratorio, se dovessi scattare una foto (e l’ho fatto) la luce rosata avrebbe la meglio su tutto. Eppure, la Rucola è così buona, croccante, tanto pulita che l’unica cosa che può contaminarla sono io. Insomma, nel momento in cui l’assaggio, pur trattandosi di foglia di Rucola, diciamo così, un cibo più elementare rispetto a quelli ritenuti nobili, io mi libero del camice, mascherina, occhiali e bardature varie e mi ritrovo in un giardino colorato, tra specie non comuni, sento anche il vento e l’aria pulita e penso: ci sono i manuali per raggiungere momentanei stadi di felicità, o liberare la mente dai pensieri cupi, e qui invece è bastata una foglia di Rucola croccante, tagliata con la forbicina: possibile?
Possibile sì, anche perché sono nel laboratorio di Planet Farms. Ecco qui, ora abbandonate la lettura, la parola è rischiosa, le cose che vengono fuori dal laboratorio, si dice.
E tuttavia, svariati anni fa, a metà anni ’80, il professore di orticoltura ci portò in un campo di orticole, e a parte che ci ordinò di non mangiare niente, ci fece calpestare la terra e saggiare l’aria, nonché osservare certe mani callose dei contadini, solo per farci capire la difficoltà di coltivare un campo: stiamo sotto il cielo, era il motto diffuso da quelle parti.
Cambia il vento, piove un po’ di più, sale l’umidità e arrivano i funghi o insetti, e poi devi preparare il terreno, concimare (all’epoca ci si regolava così: se un kg di azoto funziona, metticene due e così via), proteggere la pianta: siamo sotto il cielo appunto. Anche una dichiarazione fatalista, in alcune regioni del sud, ma soprattutto un monito realista: siamo vittime del Tempo (atmosferico) e del Caos.
E quindi, sottovoce (eravamo riuniti in conciliabolo) ci confidò: l’agricoltura del futuro non sarà solo nei campi. Qui, come vedete, ci sono troppi fattori da controllare e che non controlliamo, l’agricoltura del futuro sarà verticale e in ambiente protetto, di modo che possiamo: a) controllare il substrato di crescita e fornire alla pianta solo quello di cui ha bisogno; b) controllare l’ambiente (cioè, voleva dire, rendere il tempo e il caos meno bizzosi), così che possiamo impedire ai funghi e agli insetti di entrare e dunque ridurre a zero l’uso di agrofarmaci; c) (ed è la prerogativa di Planet Farms) ottenere un prodotto già pulito e libero da impurità, così lo potete mangiare senza avvelenarvi e magari confezionarlo mantenendo l’integrità e la salubrità e infine d) magari molti di noi potranno provare a realizzare queste strutture protette, anche in ambienti domestici, cittadini, metropolitani, così riportiamo la coltivazione dentro la città e forse potremmo cambiare anche le città che come sapete si stanno espandendo, diventano tentacolari, perdono l’aspetto tradizionale e diventano chissà cosa.
Voleva dire il professore di orticoltura (ora l’ho capito bene) che il futuro ha un cuore antico, a patto che riusciamo a prendere il testimone dal passato e consegnarlo, rinnovato, a quelli che davanti a noi, sono pronti a correre.
E quindi, ora che mangio la rucola, ma poi assaggerò varie specie di insalata, nonché una croccante foglia di basilico, sono felice perché il passato (e cioè io issato sulle spalle di mio padre che prendo delle more di gelso) e il futuro si sono incontrati (io che mangio una foglia di Rucola e mi sento sulle spalle di una nuova tecnologia).
Tanto è vero che Luca Travaglini uno dei fondatori di Planet Farms mi sta spiegando che l’agricoltura verticale (di questo si tratta) è un sistema di coltivazione indoor che permette di controllare molti fattori.
E ci tiene a dirlo, infatti lo ripete allo sfinimento, che pur trattandosi di un laboratorio, hanno scelto questa modalità di coltivazione perché è molto naturale: c’è terra, luce e aria, ma a differenza del motto di cui sopra: stiamo sotto il cielo, qui, indoor, possiamo controllare il cielo e sfruttarlo al meglio.
Nella sostanza, si tratta di sostituire la chimica (che fino ad oggi è lo strumento per controllare la volubilità del cielo) con la tecnologia e dunque offrire un prodotto raffinato dalle asperità e dai calli della natura: buono (perché è veramente buono) sostenibile (perché lo è veramente, anche l’acqua in eccesso viene riutilizzata) e senza residui e che ti faccia tornare bambino, in campo, insieme alle persone che ami.
Verticale in questo caso significa utilizzare la cubatura e non il suolo, quindi minore impatto possibile e maggior produzione. Per esempio, se paragoniamo un mq in campo e un mq con la tecnologia indoor, si riesce ad essere, rispetto a quella misura, fino a 300 volte più produttivi, perché a) lo spazio si moltiplica (ci sono banconi di coltivazioni uno sopra all’altro, come scaffali di una libreria) b) in più si produce tutto l’anno.
Giusto per parlare di una pianta meravigliosamente e aromaticamente comune, il basilico, specialità della Planet Farms. In campo si riescono a ottenere 3 o 4 raccolti all’anno (Il basilico ha una sua stagione, va da aprile a ottobre massimo) a Planet Farms, invece, si riescono a fare tra i 18 e i 21.
Insomma, a parte che la Planet Farms ha vinto un importante premio per l’azienda innovativa, ma i dettagli tecnici sono molto importanti per capire la qualità di questo tipo di produzione e comunque è una storia che merita di essere raccontate in più puntate (continua…)