Una volta sono quasi morta tra le braccia di un fidanzato, anch’egli quasi morente. Simultanei come mai eravamo e mai più saremmo stati, ci eravamo fatti prendere dalla passione, non dell’una per l’altro, e dalle viscere, non nostre. Lui era milanese e trentenne, e io lo avevo portato con me a Ferrandina, provincia di Matera, Lucania levantina. Avevamo pranzato da mia zia Angelina, sorella di mio padre, la più grande cuoca vivente di tutto l’Occidente. Ci aveva servito i marrciedd, in una coppa enorme, e noi l’avevamo finita, senza accorgercene, e mia zia l’aveva riempita ancora, e noi l’avevamo finita, e poi mia zia l’aveva riempita ancora, e noi di nuovo, e così per dieci volte, forse venti. Poche ore dopo, ci eravamo sentiti malissimo e io ero stata certa che ci avrebbero ritrovati paralizzati e senza vita come Paolo Panelli e Vittorio Gassman, che muoiono per overdose di pastasciutta alla fine de “Il Conte Tacchia”. E avevo pensato anche: che morte meravigliosa, nonno Nicola sarà fiero di me, verrà a prendermi con tutti gli onori, lassù, e di certo tra gli onori ci sarà una vassoiata di marrciedd. Nonno Nicola era macellaio. Anzi, era il macellaio di Ferrandina, aveva la macelleria al centro della piazza principale, a dieci passi dalla Chiesa Madre, cinque dal Comune e quindici dal bar. Di marrciedd ne ha preparati a migliaia, anzi a milioni, per anni. I marrciedd, ovvero la versione migliore degli gnumariedd, che si vedono anche in quel mokumentary involontario che è “Basilicata coast to coast”, sono involtini di interiora di agnello o capretto. Prendi l’agnello, che è il piccolo della pecora, o il capretto, che è il piccolo della capra, lo sgozzi (lo fai sgozzare, meglio), gli levi la pelle, lo svisceri, lo appendi in una cella frigorifera, insieme agli organi interni, dopo averli lavati, e dopo un paio di giorni, quando tutto il sangue è colato, fai a pezzi cuore, polmoni, reni, poi metti insieme i pezzi e li leghi con l’intestino, che hai accuratamente lavato (mi raccomando) prima di riporlo in frigo, e poi sistemi una griglia nel camino o nel forno e legna e fai grigliare. So che state pensando a Jodie Foster nel “Silenzio degli Innocenti”. E mi dispiace per voi.
Io penso che per dieci, venti, cinquantamila marrciedd morirei, ucciderei, impazzirei, adesso e qui, nostalgico presente. Io non ero nata ma mi è stato raccontato che nonno Nicola preparava i marrciedd sul far della sera, oggi diremmo all’ora dell’aperitivo, e i maschi andavano a mangiarli, in piedi, in coda, fumanti, scottanti, bollenti, crudeli. Ci andavano i ciechi, ci andavano i carabinieri, ci andavano tutti, anche i preti. Tutti maschi. Compravano pezzi in più da portare a casa, ma finivano tutto camminando, perché i marrciedd sono fatti così, ti calamitano finché non li finisci tutti, uno dopo l’altro. Don Vincenzo, parroco indimenticabile, quando arrivava l’ora dei marrciedd, cominciava a gironzolare, furtivamente, intorno alla macelleria, e un suo collega, don Angelo, gli si avvicinava e diceva: “È l’ora dei Pavesini, Vincè!” E qualcuno rideva, e Don Vincenzo arrossiva, e nonno Nicola infornava.
Il mio fidanzato adesso è il marito di un’altra, un’avvocatessa bionda, e ogni tanto mi scrive: ma ti ricordi quando siamo quasi esplosi mangiando marrciedd? E io rispondo sì che mi ricordo e lui mi scrive che bella morte che sarebbe stata e io gli dico eccome, sarebbe stata bellissima, io faccio ancora in tempo a morire di marrciedd, tu no, povero te.